Una serie di capolavori. Si susseguono a ritmo accelerato tanto che non si riesce a guardarli tutti. Ogni anno il napoli.teatrofestivalitalia è l’occasione per tanti artisti locali e internazionali d’impegnarsi a creare qualcosa di nuovo e d’interessante. A creare un tipo di teatro che stupisca, emozioni, diverta, che faccia respirare un’atmosfera stuzzicante ed energetica.
La danza ne è anche quest’anno una componente importante. Tanto che ha inaugurato la manifestazione. Con Reshimo, della Vertigo Dance Company. La compagnia israeliana ha presentato 8 dei suoi componenti in una danza che, unendo uno spirito quasi tribale a una severa disciplina, è ispirata alla Kabala ebraica (in cui il numero 8 rappresenta l’eterno), creando una visione cosmica. Una forte suggestione, sostenuta dalla magia di un palcoscenico, a Pietrarsa, che ha per fondale il mare.
Lo stesso palcoscenico ha accolto anche una danza molto diversa, She-ra-zade, del Balletto Nazionale del Kossovo, creata e guidata dalla nostra, perché a lungo stella e ora direttore del corpo di ballo del San Carlo, Alessandra Panzavolta. Una danza che ha disegnato forme sdutte e sinuose scolpendo, per così dire, l’intero gruppo insieme, in un ammodernamento della danza classica, che ha toccato le aeree vette del sogno.
Quest’anno, oltre Pietrarsa, altri luoghi non canonici dello spettacolo sono l’Accademia di Belle Arti, dove è in scena "Per oggi non si cade", in cui il creativo Mario Santanelli induce gli spettatori a guardare il mondo all’incontrario, e l’ex Dormitorio Pubblico, in cui gli attori sono persone in difficoltà che, non avendo né lavoro né casa, esprimono il loro disagio e un disorientamento non solo sociale nel domandarsi chi sono: lo spettacolo, "Mettersi nei panni degli altri", a cui poteva accedere un limitato numero di persone, ha avuto tanto successo da essere replicato ancora.
Ha trovato il favore del pubblico amante di Eduardo e del teatro napoletano "Il sindaco del rione Sanità", che, pur durando tre ore, non ha annoiato. Di ambiente napoletano è anche "Scende giù per Toledo", un adattamento teatrale di un romanzo di Patroni Griffi. Qui c’è, in un linguaggio vivo, spesso molto crudo, qualche battuta che fa sorridere ma, soprattutto, il dramma di un travestito. E’ il dramma di quelle persone sensibili davvero che cercano l’amore e impattano nella realtà materiale del sesso e nella sadica volgarità del compagno. Se l’amore è difficile, tanto più lo è per un travestito. Un prodigioso Arturo Cirillo, di grande bravura attoriale, riesce a tenere da solo la scena e l’attenzione degli spettatori, mentre ha momenti di profonda sincerità del dramma umano.
Tanti gli spettacoli interessanti, da non poterli citare tutti.
Un focus, come si dice, della manifestazione di quest’anno è Anton Cecov, presente con "Lo zio Vania", "Le tre sorelle" e "Il giardino dei ciliegi". Ne "Il giardino dei ciliegi" la scenografia d’apertura, in bianco e nero, elegante e sofisticata, ne annuncia il tono surreale e simbolico. Scanditi su una scala, alcuni personaggi vestiti di bianco, come coperti di neve. Tre altri sdraiati sul palcoscenico in primo piano, fermi. Incominciano a muoversi: movimenti innaturali, sforzati, (si ammira la forza dei loro muscoli addominali) ad accentuare il tono surreale dello spettacolo. Che tratta della decadenza di una famiglia, la quale, da ricca abitante di una villa con un giardino di ciliegi, ha perso, con la sua antica dimora, anche il suo status sociale. Per insipienza, come rivela il suo insulso chiacchiericcio e l’attardarsi a giocare con vecchie trottole nella vecchia camera dei bambini. Una generazione, un ceto sociale, questo, che va a finire. E la sua fine è magistralmente raccontata dal buttarsi giù dal palcoscenico, a uno a uno, dei personaggi.
L’accento napoletano della parlata di alcuni di loro sottolinea il valore universale del racconto che non riguarda soltanto la Russia del tempo di Cecov.
Ma che riguarda soprattutto Napoli, come ci spiega chiaramente Luca De Fusco, che ne è il regista, in un dépliant distribuito in teatro, ricordando una nonna giocatrice e zii amanti dei casino. Il regista lamenta la decadenza di Napoli che, per insipienza, non è riuscita ad ammodernarsi. Ricorda l’ispirarsi a "L’armonia perduta" di Raffaele la Capria di alcuni spettacoli andati in scena, nel Ridotto del teatro Mercadante, nella passata stagione.
Un’armonia che un tempo esisteva realmente? Si, quando i napoletani potevano esprimere se stessi ed essere liberi di evolversi secondo la propria identità ( c’è un abisso tra i due concetti, di progresso e di evoluzione). Poi quel mondo finì. Vi fu il 1860. Sottrattagli la monarchia borbonica, il popolo napoletano si disorientò. Anche i nobili. Non ebbero forti passioni se non quella del gioco delle carte e della roulette. L’ultimo duca di San Teodoro, ad esempio, nel gioco perse anche la dimora di famiglia, il suo magnifico palazzo alla Riviera di Chiaia.
Luca De Fusco, proprio in questo suo essere appassionato critico della sua città, riesce a farla rivivere nel suo spirito migliore d’intelligenza e creatività con il napoli.teatrofestivalitalia, in cui Napoli si apre al mondo da protagonista, affermando la sua identità e la sua qualità di regina del teatro mondiale.
Adriana Dragoni