Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

20/12/24 ore

Il Teatro Stabile di Catania riapre le porte alla città con ‘Evasioni’: cinque spettacoli da maggio a luglio



Il Teatro Stabile di Catania, con un nuovo cartellone, dall’eloquente titolo Evasioni, che offrirà al pubblico cinque spettacoli tra la Sala Verga e la Corte Mariella Lo Giudice di Palazzo della Cultura, così da moltiplicare gli spazi e le opportunità di fruizione nel rispetto delle norme di sicurezza. Appena la Sicilia potrà tornare in zona gialla, anche il Teatro tornerà a vivere e il pubblico del territorio  a cominciare dagli abbonati a riappropriarsene.

Il Teatro Stabile di Catania, con un nuovo cartellone, dall’eloquente titolo Evasioni, che offrirà al pubblico cinque spettacoli tra la Sala Verga e la Corte Mariella Lo Giudice di Palazzo della Cultura, così da moltiplicare gli spazi e le opportunità di fruizione nel rispetto delle norme di sicurezza. Appena la Sicilia potrà tornare in zona gialla, anche il Teatro tornerà a vivere e il pubblico del territorio  a cominciare dagli abbonati a riappropriarsene.

 

«Il governo ha deciso di riaprire cinema e teatri il 26 aprile 2021 nelle zone gialle del Paese. Per molti teatri non è stato facile riprendere l’attività, nonostante le molte idee e le intenzioni», dice il direttore Laura Sicignano: «Per alcuni è stato impossibile, a causa della complessità dei protocolli di sicurezza, della difficile riprogrammazione e, nel nostro caso, della diffusione dei contagi. Tutto il comparto auspicava una riapertura con maggiori garanzie per i lavoratori dello spettacolo: proprio in questo giorni sta avvenendo a livello istituzionale un ripensamento delle tutele per il settore. Noi riapriremo con la consapevolezza della responsabilità che ci compete, come Teatro Stabile, in questo delicato momento. Responsabilità verso il pubblico con cui abbiamo cercato di mantenere aperto un dialogo costante, attraverso il digitale. E responsabilità verso i lavoratori, che abbiamo coinvolto nei lunghi mesi di chiusura, realizzando gli spettacoli che proporremo a partire dall’estate e quindi garantendo occupazione, come dimostra il fatto che abbiamo realizzato nel 2020 quasi 12mila giornate lavorative».

 

Sono stati inseriti in calendario uno spettacolo in Sala Verga e quattro nel cortile di Palazzo della Cultura: tutti debutti e tutte produzioni o coproduzioni. Con le dovute misure di sicurezza – controllo della temperatura in entrata, distanziamento in sala con capienza al 50%, un rinnovato impianto di areazione al Verga per garantire un ambiente fresco e salubre -, si ripartirà in Sala Verga con Enzo Vetrano e Stefano Randisi con ‘A Cirimonia di Rosario Palazzolo, co-prodotto con il Teatro Biondo di Palermo e già vincitore del Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Italiani. Quattro produzioni del Teatro Stabile di Catania andranno in scena fino alla fine di luglio a Palazzo della Cultura: L’ultimo degli Alagona di Nino Martoglio, con la regia di Elio Gimbo e i Pupari della Marionettistica Fratelli Napoli, La nuova colonia di Luigi Pirandello, adattato e diretto da Simone Luglio per un cast corale, giovane e vivacissimo, Pinocchio, emozionante inedito di Franco Scaldati, adattato e diretto da Livia Gionfrida, e La Pacchiona, una versione siciliana della divertente commedia Fat Pig di Neil LaBute, tradotta e diretta da Marcello Cotugno.

 

Nel frattempo riprenderanno le attività dal vivo del progetto Turi Ferro, un artista siciliano. Celebrazioni nei 100 anni dalla nascita, la cui riprogrammazione sarà annunciata a breve. 

 

«Se abbiamo chiamato questo nuovo cartellone Evasioni è proprio per dichiarare che il Teatro ci consente di ritrovarci final- mente in uno spazio fisico e simbolico diverso da quello in cui siamo stati costretti in questi mesi, liberando lo sguardo e le idee. Il teatro non esiste senza pubblico e - crediamo - non è civile una società senza teatro. Ritornare ad incontrarci dal vivo è la missione del nostro lavoro e speriamo di esservi mancati tanto quanto voi siete mancati a noi», conclude Sicignano: «Il programma a cui assisterete al Teatro Verga e nella splendida cornice della Corte Mariella Lo Giudice di Palazzo della Cultura, è stato preparato in questi mesi ‘a porte chiuse’, seguendo il filo rosso che intende valorizzare i nuovi talenti siciliani e un'idea di Sicilia contemporanea, originale e piena di vitalità. Oltre a questi spettacoli, in questi mesi abbiamo lavorato alla produzione di Baccanti, che riprenderà presto la tournée, e a quella di altri lavori ispirati proprio dal tempo presente, come Tornati a casa per tempo, diretto da Nicola Alberto Orofino, e Una fuga in Egitto, diretto da Turi Zinna, che siamo pronti a portare in scena da settembre quando annunceremo i dettagli della Stagione 2021/2022, che abbiamo già messo a punto fino a maggio 2022».

 

«Questa apertura era il nostro orizzonte - commenta la vice presidente del Teatro Stabile di Catania Lina Scalisi - dopo mesi difficili, in cui non ci siamo fermati e abbiamo mantenuto aperta la relazione con il pubblico, anche quello più giovane, in una prospettiva di riconoscenza per l’affetto e l’attaccamento che ci ha sempre dimostrato. Ora torniamo ad accoglierlo in presenza, anche fisicamente. Torna cioè la possibilità di visitare e vivere la realtà del nostro teatro, di frequentarlo dal vivo. La proposta di Evasioni è molto densa, per contenuti e significati, e sono certa che darà un apporto culturale decisivo alla città di Catania e ai suoi eventi estivi. Ribaltando finalmente i termini, vorrei dire che il Teatro Stabile è di nuovo pronto a contagiare di bellezza il suo pubblico, la sua città. Perché il teatro ha una bellezza contagiosa, che chiama alla condivisione».

 

Un concetto, quello della condivisione, approfondito anche dal presidente Carlo Saggio: «La nostra responsabilità è duplice. Perché ci chiama a stare chiusi quando si deve, ma anche a tornare ad aprire subito al pubblico e ad aprirsi quando si può tornare aperti. Abbiamo lavorato intensamente, in questi mesi di sosta forzata dalla pandemia e di chiusura imposta dalle restrizioni. Lo abbiamo fatto proprio per essere pronti al momento della ripartenza. E ora che il momento è finalmente arrivato, con la massima diligenza, nell’assoluto rispetto delle norme e delle procedure, siamo in grado di accogliere il nostro pubblico, di soddisfare il grande bisogno che le persone hanno di cultura, di spettacolo e di teatro. Il cartellone che parte a maggio è piuttosto ricco, a testimonianza del grande impegno di produzione svolto e della grande voglia di condivisione che attori, registi, maestranze hanno nei confronti dei cittadini».

 

 

Dal 18 al 27 maggio - Sala Verga 

 

‘A CIRIMONIA - L’IMPOSSIBILITÀ DELLA VERITÀ

 

di Rosario Palazzolo

 

interpretazione e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi

scene e costumi Mela Dell’Erba

luci Max Mugnai

musiche e suono Gianluca Misiti


produzione Teatro Biondo di Palermo, Teatro Stabile di Catania e Soc. Coop.

 

"Le Tre Corde", in collaborazione con la Compagnia Vetrano-Randisi ‘A Cirimonia, già vincitore del Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Italiani, è uno spettacolo che, con un gioco linguistico molto seducente e un meccanismo teatrale carico di tensione, fa scorgere una verità nascosta tra i frammenti di memoria dei due personaggi che agiscono sulla scena. ‘U masculu e ‘A fimmina sono pronti, hanno indossato il loro costume, assunto le identità che servono per celebrare una cerimonia: un compleanno, presumibilmente, con tanto di torta e candeline. Ma prima devono rievocare un fatto, rivivere un ricordo che appartiene a entrambi e che solo assieme potranno ricomporre. Si interrogano reciprocamente con crudeltà e paura e quando si illudono di aver capito, nel momento stesso in cui la verità balugina come un lampo accecante davanti agli occhi di tutti, allora il ricordo si azzera e la verità rimane un non detto.

 

La scrittura di Palazzolo ha cadenza e ritmo incalzanti e lascia allo spettatore il compito di completare, ognuno per sé, un percorso che lo spettacolo fa soltanto intravedere a squarci.

 

Co-produciamo questo spettacolo insieme al Biondo di Palermo, in un rapporto di sempre più proficua affinità e collaborazione tra i nostri Teatri, per quanto ci riguarda anche con lo specifico desiderio di valorizzare una relazione di continuità con i registi Vitrano e Randisi, che già nel 2020 hanno diretto la nostra produzione Lu cori nun ‘nvecchia, sulle opere di Martoglio, e con l’autore Palazzolo, talentuoso drammaturgo siciliano di cui nel 2021 produrremo anche lo spettacolo Eppideis. 

 

Dal 20 al 30 maggio - Palazzo della Cultura 

 

L’ULTIMO DEGLI ALAGONA 

 

di Nino Martoglio - 1908

 

atto unico nell’adattamento di Nino Bellia e Alessandro Napoli
regia di Elio Gimbo
con Francesco Bernava, Cinzia Caminiti, Lucia Portale; la Marionettistica Fratelli Napoli: Alessandro Napoli, Fiorenzo Napoli, Davide Napoli, Dario Napoli, Marco Napoli, Agnese Torrisi, Giacomo Anastasi
aiuto regia Simone Raimondo
scenografie Bernardo Perrone
produzione Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Fabbricateatro 

 

1921 - 2021: cento anni da una morte, quella tragica di Nino Martoglio, e cento anni da una nascita, quella della storica Marionettistica Fratelli Napoli: due anniversari per ragioni diverse importanti per la memoria e la tradizione teatrale della città di Catania, a cui il Teatro Stabile rende omaggio affidando il testo de L’ultimo degli Alagona di Martoglio alla messa in scena combinata di attori e pupi dei Fratelli Napoli, la più longeva e autorevole compagnia di Opera dei Pupi del teatro siciliano, tuttora attiva. Il testo, scritto e prodotto a Milano nel 1908, è tra i più rappresentativi di quel materialismo storico tipico del teatro di Martoglio e allo stesso tempo è uno dei pochi in cui viene in effetti dato spazio ai fatti della storia e addirittura della cronaca: l’autore mette infatti in scena il contrasto familiare tra il discendente di una nobile casata siciliana ed il proprio figlio, causato dai capovolgimenti storici e sociali prodotti nell'isola dall'impresa dei Mille e dagli ideali liberali garibaldini. Con cinquant’anni di anticipo Martoglio evoca gli stessi conflitti che si ritroveranno ne Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, con una già profonda consapevolezza e capacità espressiva delle conseguenze generate dalle lotte di classe nel convulso trapasso dal regno borbonico al regno piemontese.

 

Proprio la dialettica storica e personale tra padre e figlio, tra mondo vecchio e mondo nuovo, tra illusione e realtà rende attraente una messa in scena attori-pupi, mentre il contesto storico del 1860, tra rivolte e battaglie, sembra essere un mondo perfetto per essere rappresentato coi codici dell’Opera. Più della metà dei personaggi - quelli legati al mondo del patriarca - saranno espressi con i pupi e tutte le loro manovre saranno eseguite a vista sui fondali autentici dell'Opera, selezionati tra i migliori in possesso della famiglia: una contaminazione che ci consentirà di riportare in scena testi e linguaggi così fortemente legati alla tradizione, reinterpretandoli e commentandoli – attraverso le scelte di adattamento e di regia – per il pubblico contemporaneo. 

 

Dal 10 al 20 giugno - Palazzo della Cultura 

 

LA NUOVA COLONIA 

 

di Luigi Pirandello

 

adattamento e regia di Simone Luglio
con Dario Aita, Antonio Alveario, Giovanni Arezzo, Lucia Cammalleri, Michele Carvello, Roberta Catanese, Antonio Cicero, Federico Fiorenza, Simone Luglio, Giulio Della Monica, Claudio Zappalà
dramaturg Francesca Fichera
aiuto regia Chiara Callegari
scene e costumi Claudia Gambadoro
musiche originali Salvatore Seminatore
produzione Teatro Stabile di Catania 

 

Alla fine del 2019 quando è nato il progetto de La nuova colonia di Pirandello mai avrei pensato di ritrovarmi a mettere in scena uno spettacolo che è stato, allo stesso tempo, uno spazio di sperimentazione e un video documentario sulla condizione dell’attore durante la pandemia. Quando partorisco un’idea di spettacolo penso principalmente a un testo che in qualche modo mi parli, in questo caso specifico ho pensato fortemente anche all’autore, un autore che è nato a pochi chilometri da dove sono cresciuto e che da sempre mi ha fatto sentire a casa, ma che allo stesso tempo risulta essere uno scoglio arduo da scalare. Pirandello non è solo uno dei più grandi drammaturghi di sempre ma è un modo di fare teatro, un suono ricorrente. Ha la riconoscibilità che hanno le grandi rock star. Quello che mi sono chiesto è: come faccio a rispettare la riconoscibilità di questo monumento ma contemporaneamente tradirlo, tradurlo per un pubblico che è di questo tempo?

 

La prima cosa che ho fatto è quella di scegliere uno dei testi meno pirandelliani della sua lunga produzione. Per struttura e temi trattati assomiglia più ad uno Shakespeare, fortissimi i legami con La tempesta. Poi la decisione di lavorare con un gruppo di attori under 35 di grande personalità, creatività e follia. La follia o la disperazione che ci vuole per prendere la decisione di mollare tutto e partire per un’isola deserta che “dicono un giorno scomparirà inghiottita dalle acque”. La stagione dei miti pirandelliani è quella dell’ultima parte della sua vita e quello che Pirandello mette ne La nuova colonia è tutta la sua delusione nei confronti della società e nell’uomo che ne è il suo fautore. Temi che non sono riuscito a sposare in pieno soprattutto dopo aver provato di persona l’esperienza di questo isola-mento a cui tutta l’umanità è stata costretta. La disperazione di vedere la categoria lavorativa a cui appartengo affondare sotto i colpi di un’indifferenza violenta. Come potevo non considerare che quei disperati che si giocano il tutto per tutto devono essere da esempio positivo e non negativo nel loro tentativo di voler cambiare la propria condizione, nel non arrendersi al motto gattopardiano del fare tanto per non cambiare nulla.

 

I confini tra il dentro e il fuori dalla scena, tra la finzione e la realtà e tra la commedia e la tragedia sono impalpabili. In una scena che è allo stesso tempo palco vuoto e strutture materiche che tendono verso l’alto, dove la scelta dei materiali si contrappone alla violenza kitch delle luci colorate a led, si svolge l’azione cruda e senza ripensamenti dei nostri protagonisti che hanno ognuno, in qualche modo, qualcosa da riscattare con Dio. 

 

Simone Luglio 

 

Dall’8 al 18 luglio - Palazzo della Cultura 

 

PINOCCHIO 

 

di Franco Scaldati

 

adattamento, regia, scene e costumi di Livia Gionfrida
con Aurora Quattrocchi, Alessandra Fazzino, Manuela Ventura, Cosimo Coltraro, Domenico Ciaramitaro, Serena Barone luci Gaetano La Mela
produzione Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Teatro Metropopolare. 

Mi avvicino in punta dei piedi alle parole di un grande maestro del teatro italiano. 

 

Pinocchio di Franco Scaldati, opera inedita ed incompiuta, è un concerto di suoni e colori che ricalca la mitica storia del burattino collodiano, per trasportarla in una Sicilia cruda e tragicomica, un mondo fiabesco dove uomini, fate, pupi e animali hanno lo stesso diritto di parola e sono ugualmente impegnati nella violenta lotta alla sopravvivenza.
È una storia di poveri, difettati, emarginati, di innocenti. Qui la voce si fa carne e si moltiplica, scivolando in uno spazio univer- sale in cui il suono si fa presenza. Umorismo e tragedia si intrecciano, come in tutto il percorso di questo grande poeta siciliano, cantore da sempre degli ultimi. 

 

Il ragazzo testa di legno ed io ci siamo già incontrati in passato. Ora, accompagnata dalla lingua straordinaria di Scaldati, lo intra- vedo mentre mi fa un gesto osceno e si ributta in mare per vivere da pirata, assieme al suo amato padre Geppetto e al suo amico Lucignolo. Libero.

 

Livia Gionfrida 

 

Dal 21 al 31 luglio - Palazzo della Cultura 

 

LA PACCHIONA 

 

una versione siciliana di Fat Pig di Neil LaBute traduzione di Marcello Cotugno e Gianluca Ficca adattamento in siciliano a cura della compagnia regia Marcello Cotugno 

con Paolo Mazzarelli, Federica Carruba Toscano, Chiara Gambino, Alessandro Lui scene e costumi Luigi Ferrigno, Sara Palmieri
luci Gaetano La Mela
colonna sonora a cura di Marcello Cotugno 

aiuto regia Martina Glenda
audio Giuseppe Alì
produzione Teatro Stabile di Catania 

 

Il tema dell’essere “carini”, esteticamente gradevoli e socialmente omologati, è centrale in Fat Pig, (da cui è tratta la nostra ver- sione siciliana del testo originale), come in altri due testi dell’autore americano: La forma delle cose e Reasons to be Pretty, a for- mare quella che lui stesso definisce “Trilogia della bellezza”. L’idea di trasportarla in Sicilia nasce dalla mia collaborazione con Paolo e Federica, attori con cui condivido un’idea di teatro vivo, calato nella realtà e nel divenire del nostro tempo. Come è stato messo in risalto da Thomas Bell, professore universitario di geografia urbana, nel saggio di Neil LaBute A Casebook, è lo stesso LaBute a suggerirci che i suoi testi, non avendo quasi mai una reale collocazione geografica, sono scritti per poter adattarsi ad ambientazioni differenti. D’altra parte, Fat Pig è anche un testo sul concetto di diversità.

 

E, nel meridione d’Italia, l’inclusività e l’accoglienza nei confronti di chi, in un modo o nell’altro, diverge dalla norma – o dal cliché – non possono, ancora oggi, darsi per scontati. Il meridione, e la Sicilia in particolare, ha inoltre una fortissima cultura del cibo, spesso visto come un collante sociale. Ma il cibo è anche rifugio, valvola di sfogo e rimedio contro l’insoddisfazione di cui un individuo emarginato è facile.

 

Il testo, dedicato da LaBute a David Mamet, suo idolo in gioventù, racconta la storia di Tommaso, un milanese trapiantato in Sici- lia, che si invaghisce di Elena, una bibliotecaria gentile, simpatica e dai molti talenti, apparentemente perfetta per lui se non per il fatto di essere una “taglia molto forte”. Le chiacchiere e le ironie sulla grassezza di lei da parte degli amici saranno per Tommaso il principale ostacolo al rapporto. L’aspetto fisico, infatti, non deve deludere i gusti dell’ambiente sociale a cui apparteniamo: molti tra i personaggi di LaBute finiscono quindi col permettere al giudizio degli altri di dominare le proprie vite e di de- terminare le proprie scelte, anche a costo di rinunciare alla felicità in nome del pensiero comune. Ma mentre Tommaso è vittima suo malgrado di questa dittatura della bellezza, Elena, la protagonista/eroina de La pacchiona, sembra essere a suo agio nono- stante il mondo esterno cerchi di escluderla. Lei, d’altra parte, ormai così abituata a non essere vista, abita il suo “mondo paral- lelo”. Il suo appartamento, il suo rifugio sicuro, in cui le fanno compagnia i personaggi e le scene dei vecchi spaghetti western (nell’originale film di guerra), solitamente parte di un immaginario prettamente maschile.

 

Lo spettacolo segue lo stile del teatro da camera, citando l’Intima Teatern di August Strindberg e puntando i suoi atout sulla reci- tazione relazionale e sulla credibilità dei personaggi. Una scena essenziale e simbolica, firmata da Luigi Ferrigno e Sara Palmieri, che veicola rimandi al contesto ed ai tremi della narrazione. Gli elementi scenici, agilmente, si adattano e trasformano con l’evol- versi della vicenda, sfruttando lo spazio in modo da coinvolgere lo spettatore nell’azione, soluzione adatta a una pièce che rac- chiude in sé una forte carica empatica e veicola una matrice sociale fortemente allusiva al contemporaneo.

 

Come nella tradizione postmoderna, sarà il pubblico a dover trovare le risposte alle azioni degli attori in scena e, una volta tornato a casa, a rivolgere lo sguardo su sé stesso. È questa l’amara catarsi di LaBute: offrirci un’occasione per guardare a ritroso le nostre vite, per rifare il doloroso conteggio di tutto quello che ci è stato dato e tolto, di tutto quello che noi abbiamo lasciato andare, e di tutto quello che gli altri ci hanno fatto credere. Un inventario crudele, di una vita forse solo apparentemente felice, che in realtà è stata una continua guerra piena di sconfitte e con pochissime vittorie sul campo. Almeno fin qui.

 

Marcello Cotugno 

 

 


Aggiungi commento