di Regina Picozzi
L’Auditorium Parco della Musica ha ospitato per tre giorni l’atteso Gala Internazionale di Danza “Les Étoiles” di Daniele Cipriani, realizzato con la partecipazione della “Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale”, ente non profit di diritto privato, e della società “Poema S.p.A.” che si occupa di promuovere progetti di alto profilo artistico e culturale sia in Italia che all’estero.
Dal 15 al 17 marzo è andato in scena uno spettacolo raffinato e complesso, che ha visto i più grandi danzatori di tutto il mondo interpretare brani del repertorio classico alternati a pezzi contemporanei.
Tecnica ed eleganza, potenza e leggerezza. Il pubblico della capitale è rimasto letteralmente incantato dalla forza espressiva di un’arte, come la danza, che attraverso il corpo riesce a comunicare sorprendentemente gli intenti dell’anima.
L’evento ha volutamente espresso una preziosa attenzione all’inclusività, con la presenza sia della ballerina “non binary” Leroy Mokgatle dello Staatsballett Berlin che del celebre protagonista del teatrodanza Lutz Förster che, in un omaggio a Pina Bausch, ha interpretato “The Man I Love” di George e Ira Gershwin secondo una ricostruzione creata appositamente per Les Etoiles, in cui al ballerino si sono uniti gli interpreti maschili del gala ai quali Förster ha insegnato il linguaggio dei segni.
È l’umanità intera, quella che la danza può e deve rappresentare.
In una dimensione di incontro che si rende ancor più preziosa ed urgente in un’epoca di conflitti come quella a cui stiamo dolorosamente assistendo.
Ricchissimo il programma presentato, che è passato dalle atmosfere fiabesche de “La Bella Addormentata”, “Don Chisciotte” e “Le Corsaire” di Petipa, straordinarie nella loro capacità di trasportarci nella realtà degli amori sempre possibili, allo struggimento di “No Man’s Land”, creato per il centenario della fine della Pima Guerra Mondiale, che attraverso la coreografia di Liam Scarlett ci parla dei destini incrociati degli uomini al fronte e delle donne costrette a lavorare nelle fabbriche di munizioni, conducendoci, lentamente ed inesorabilmente, a contatto con tutte le sofferenze che ogni guerra produce: l’esilio, il distacco fisico e psicologico, lo sradicamento di sé mentre si cerca un luogo in cui restare. O mentre si tenta di sopravvivere nel posto in cui si è obbligati a vivere.
Dinamismo e controllo si alternano, per poi fondersi, in “Two Pieces for Het” di Hans Van Manen: qui i gesti, i passi, gli sguardi, sono completamente pervasi dalla musica di Erkki-Sven Tüür e Arvo Pärt.
Tante le emozioni, tanti i titoli portati in scena: da “Spartacus” di Grigorovich a “Il lago dei cigni” e “Giselle” di Alicia Alonso. “Il pensatore” di Rodin, coreografato da Sergio Bernal, fa arrivare in sala un tocco di spiritualità, pervaso dall’immensità della perfezione classica, della poesia, mentre con “Tschaikovsky Pas de Deux” di Balanchine una scossa di elettricità pura si diffonde tra gli spettatori.
Molti anche i nomi e le personalità dei ballerini provenienti da Paesi differenti: spiccano la georgiana Maia Makhateli ed il kazako Bakhtiyar Adamzhan, così come Catherine Hurlin dell’American Ballet Theatre ed il texano Roman Mejia, fino al russo-tedesco Daniil Simkin, ritratto sulle locandine dello spettacolo, che con i suoi incredibili virtuosismi ha lasciato il pubblico senza fiato.
La verità è che ogni interprete meriterebbe un personale commento, uno specifico elogio.
Forse però il merito più grande va al significato profondo dell’evento in sé, perché il Gala Les Étoiles ci ha regalato qualcosa a cui pensare: la danza, sì. Ma non solo questo.
Un’arte così antica, da sempre elemento di aggregazione sociale dei diversi popoli in ogni parte del pianeta, ci ricorda infatti che la bellezza non sia mai fine a se stessa, soprattutto quando riesce a compiere il miracolo della creazione di un linguaggio che tutti accomuni ed avvicini. Senza la necessità di uno sforzo e neppure di una spiegazione.
Magari, proprio grazie alle sue meraviglie, ognuno di noi potrebbe compiere un piccolo miracolo: ritrovare in sé la possibilità di credere ancora in un mondo giusto, accogliente, curioso, rispettoso della diversità, “gentile”.
Il mondo che tutti vorremmo e che tutti, probabilmente, dovremmo impegnarci a costruire.
(foto Graham Spicer)