di Maurizio Musu
È uscita pochi giorni fa lo spinoff-sequel di Suburra, Suburraeterna.
Una stagione “di passaggio” fra quanto già visto e ancora da raccontare.
Roma, 2011. Il governo rischia di cadere, il Vaticano è in crisi e le piazze della città sono letteralmente date alle fiamme. Nel mondo di mezzo Cinaglia (Filippo Nigro) ha provato a raccogliere l’eredità di Samurai e, insieme a Badali (Emmanuele Aita), continua a gestire gli affari criminali della città, con l’aiuto di Adelaide (Paola Sotgiu) e Angelica (Carlotta Antonelli), rimaste a capo degli Anacleti, e di Nadia (Federica Sabatini), che le aiuta a gestire le piazze di Ostia.
Ma c’è chi questo sistema non lo accetta più. Nuovi protagonisti scenderanno in campo, stravolgendo gli equilibri di Roma: inizia così una rivoluzione che si espande velocemente per cancellare tutto ciò che rappresenta il passato.
Alberto (Giacomo Ferrara) vero nome di Spadino, sarà costretto a rientrare in città, lasciando una vita “normale” e il fidanzato a Berlino.
Il compito, difficile, sarà quello di tenere in piedi una famiglia, gli Anacleti, messa in pericolo e ai margini della malavita capitolina dai rivali Luciani, vittime nei primi anni ’80 della faida intestina del clan degli zingari.
Il tema, come nelle precedenti stagioni, sarà oltre il controllo di Roma, l’annientamento dei rivali; in un continuo gioco di alleanze e cambi di fronte la nuova stagione si muove sulla falsariga delle precedenti con la differenza, non da poco secondo noi, di non esserne sempre all’altezza.
Un po’ per il peso dei protagonisti, un po' per una sceneggiatura “già scritta” in cui tutto e tutti recitano seguendo un copione “predefinito” da anni di serie tv e film sui generis.
Mancano l'effetto sorpresa, il pathos, l'attesa di sapere e conoscere gli eventi, tutto si riduce ad un già visto e sentito.
Forse, perché negli ultimi anni troppe similitudini accomunano queste serie tv o, forse, perché nella realtà troppo simili sono i fatti raccontati dai quotidiani che non ci si sorprende più di nulla.
Enrico Bonatesta (Aliosha Massine) – bravissimo nel suo ruolo - non vale Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi).
Un po' per un impianto narrativo spesso forzato, che collima, invece, con la crescita di un personaggio che, puntata dopo puntata, entra - con la spregiudicatezza giovanile ma da indiscusso veterano - , nelle dinamiche malavitose della gestione degli affari.
Un già scritto che sporca la prova del giovane Enrico.
Alberto/Spadino, ripulito negli abiti, nello stile, nel carattere, risulta fuori posto nel contesto della famiglia Anacleti e della lotta di potere.
Perché Alberto non è Spadino, mentre Spadino è Alberto, un Anacleti che tenta di uscire dalla famiglia d'origine e dalle questioni romane.
In questa dicotomia dei ruoli ciò che viene meno è la questione umana del personaggio Alberto troppo ancorato allo Spadino prima versione.
Cinaglia non è Samurai, non lo è mai stato; l’ex politico tenta di ricalcarne le orme ma non sempre ne è in grado.
Colui che dovrebbe essere il deus ex machina degli eventi, dagli stessi viene sopraffatto. Dalla questione dello stadio, alle piazze, al nodo Ostia, Cinaglia pare sempre in balia delle vicende e dei suoi protagonisti/antagonisti.
Samurai, era altro. Samurai era una presenza nascosta che muoveva con grande attenzione i fili degli eventi e dei suoi personaggi. Mai una parola fuori posto!
Un dogma che Cinaglia non porta Avanti.
Manca Aureliano Adami (Alessandro Borghi), morto e mai dimenticato, come quello stendardo in palestra a rievocarne la grandezza e lo spessore. Un vuoto difficile, se non impossibile, da colmare.
I nuovi interpreti? Alcuni di sicuro valore altri rimandati.
Damiano, marito di Angelica, tenta di ricalcare le orme di Aureliano come outsider nella lotta al potere.
È forse il ruolo più riuscito, ma nonostante questo, si fa fatica ad empatizzare con il protagonista come accaduto per Aureliano.
Uno, Aureliano, amato e desiderato, l'altro, Damiano, innamorato e malinconico. Un po' troppo remissivo.
Storie non dissimili ma destini differenti nell'immaginario dello spettatore.
Chi viene meno sono le figure femminili, manca una Sara Monaschi (Claudia Gerini), o una Livia Adami (Barbara Chichiarelli); Angelica e Nadia sembrano acerbe per quel ruolo da protagoniste dei loro clan, il loro sentimentalismo vizia ogni scelta, al punto che lentamente escono da una inquadratura centrale per essere confinate al ruolo marginale nelle decisioni che contano.
Una carenza narrativa da rivedere per eventuali stagioni future.
Suburraeterna scivola nei ditirambo di sparatorie e tradimenti, veri e presunti che siano, senza aggiungere nulla di nuovo al pathos della storia, tanto meno a quella prima fortunata stagione ricca di suspense e fame d’ascolti.
In questa nuova stagione nulla crea “dipendenza” tanto meno “modelli”, buoni o cattivi che fossero.
Viene meno il principio immedesimazione che ha caratterizza da sempre serie tv, film, libri.
Protagonisti che diventano loro malgrado modelli. È stato così per Aureliano, Libanese, Genny Savastano, Immortale.
I nuovi interpreti sicuramente saranno all'altezza del compito ma ciò che manca in questa nuova stagione è una sceneggiatura all'altezza dei suoi interpreti.
Si attende una seconda stagione di suburraeterna meno ricca di colpi d'arma da fuoco e più di impatto emozionale, dove il pathos diventa elemento di condivisione fra sceneggiatura, interpreti, spettatori.
Per ora un buon esercizio di stile, ma nulla di più!
(Suburraeterna è distribuita da Netflix dal 14 novembre 2023)