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17/11/24 ore

Elezioni, le domande senza risposta sulla laicità



Mentre infuria la campagna elettorale con toni sempre più paradossali, tra le gag dei politici e i comizi dei comici, capita che qualcuno, nello specifico un pastore valdese fra i maggiori esperti della Bibbia in Italia, si affacci garbatamente nel dibattito politico per porre domande estremamente concrete …  

 

Con una lettera aperta, Daniele Garrone ha rivolto quesiti d’indiscutibile attualità agli aspiranti premier. Si tratta di questioni che lui definisce tipicamente «liberali», cioè legate a una cultura che non ha mai mobilita­to i due grandi partiti di massa pro­tagonisti di decenni della storia poli­tica della nostra Repubblica, e quindi di sicuro interesse per i lettori di questa testata.

 

Nel testo pubblicato da LucidaMente, Garrone chiede senza mezzi termini ai candidati quali siano le loro posizioni in merito al fine vita e alla sospensione delle cure, una libertà che definisce “urgente” e ormai lecita in altre democrazie. Prosegue domandando loro se condividono la necessità di accorciare i tempi del divorzio; quali impegni intendano assumere sul riconoscimento delle famiglie di fatto; e, tra le altre questioni, inserisce il problema del vuoto legislativo intorno alla libertà religiosa al centro del dibattito sulla laicità per via della disuguaglianza tra le confessioni nel nostro paese.

 

Scrive il pastore: L’uguaglianza di tutte le confessioni religiose davanti alla legge, solennemente sancita nella nostra Costituzione, non è pienamente attuata. Non mi riferisco qui al regime privilegiario adottato per la Chiesa cattolica con l’art. 7 della nostra Costituzione e a tutto ciò che ne è derivato; so bene che questo, in Italia, è una sorta di tabù. Vi sono confessioni e religioni che non riescono ad addivenire alle intese previste dall’art. 8; vigono ancora in parte norme della legge sui culti ammessi del 1929. Condivide l’idea di approvare una legge quadro sulla libertà religiosa? Come intende affrontare il fatto che alla uguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge, sancita dalla Costituzione, corrisponde una gamma di diversi trattamenti giuridici?

 

Nel silenzio cosmico atonale su cui galleggiano simili interrogativi tra i blocchi bipolari che alimentano la macchina partitocratica nel nostro paese, si ode isolata la voce di Pier Luigi Bersani il quale fa sua la problematica di questo vuoto normativo. Il motivo per cui il segretario del PD interviene nel merito risiede in un fatto molto grave: secondo il quotidiano L’Unità, ci sono vari comuni lombardi in cui la polizia municipale ha diffidato alcune chiese evangeliche dall’utilizzare i propri locali.

 

E’ di nuovo emergenza per la libertà religiosa in Italia?, si chiede la testata. Bersani ha definito la richiesta di un impegno in favore della libertà religiosa da parte di Massimo Aquilante, presidente della Fcei, una sollecitazione importantissima. Ha poi attaccato Berlusconi ricordando, nel precedente governo, le  proposte di regolamentazione degli indumenti indossati per ragioni di natura religiosa e della disciplina degli edifici di culto. Il leader del Partito Democratico ha poi aggiunto: è più che evidente la necessità di una legge generale a tutela della libertà religiosa, che sostituisca le norme del 1929-30 sui “culti ammessi”, e ha ribadito l’impegno del PD in questo senso.

 

Viene spontaneo riflettere su quanto il concetto stesso di “culti ammessi” sia compatibile o meno con l’art. 3 della nostra Costituzione, e quanto incredibile sia che uno dei diritti fondamentali dell’essere umano sia regolato in Italia da norme precedenti alla Costituzione stessa, risalenti persino all’epoca fascista.

 

La domanda posta dal quotidiano L’Unità in merito a una possibile emergenza sulla libertà religiosa ottiene una risposta immediata se, accanto alla condizione denunciata dalla Fcei, si analizzano due elementi. Primo, la violenza della propaganda anti-islamica a cui abbiamo assistito in modo particolare nel primo decennio del 2000; secondo, la perenne stigmatizzazione di alcuni culti minoritari definiti “abusanti” o “pericolosi”.

 

Il modo più semplice di dare uno sguardo panoramico a questa tematica è guardare attentamente il documentario Al Qaeda! Al Qaeda! Come fabbricare il mostro in tv, le cui proiezioni e presentazioni in tutta Italia a partire dall’ottobre scorso non accennano a fermarsi. Questo ritratto inedito e sconvolgente dell’informazione e non solo ha suscitato uno straordinario interesse. Il film illustra, fra l’altro, in un’unico documento peraltro breve e godibile,  fino a che punto l’atroce assenza di pari opportunità religiose mini la laicità nel nostro Paese.

 

Il documentario di Giuseppe Scutellà, Luca Bauccio e Walter Baroni è sconsigliato ai minori per via delle immagini rare, indimenticabili e surreali di Daniela Santanchè che dà del pedofilo nientemeno che a Maometto. Queste impreziosiscono con una vena a metà strada fra Fellini e il Saturday Night Live un film molto ben diretto e arricchito da tali interpretazioni memorabili. Non sfigura al fianco della Santanchè un incredibile Magdi C. Allam, quasi commovente nei panni di se stesso che si scaglia contro un minareto che è, in realtà, un’antenna della Wind. Uno squisito medley fra Don Chisciotte della Mancia e il memorabile Peppino de Filippo in Boccaccio 70.

 

Sarebbe utile, nella speranza di un’apertura del dibattito in campagna elettorale come sollecitato e auspicato da Daniele Garrone e da Massimo Aquilante, ripercorrere le storie emblematiche catturate dalla pellicola. Si va dalla vicenda kafkiana di Rassmea Salah, destatasi da sonni inquieti mutata dai media nella “donna del burqa”, a Vito Carlo Moccia, leader della più terribile psico-setta mai esistita nella fantasia pur fervida dei suoi detrattori. Ma il film non manca di ricordare anche il dramma di Beppino Englaro, chiamato implicitamente a rispondere dell’assassinio di sua figlia dal sen. Gaetano Quagliariello.

 

Sarebbe utile, perché il volto sfregiato della comunità islamica che si rivela dietro le quinte di quello che Bauccio denomina “il palcoscenico della democrazia” implica una Costituzione altrettanto deturpata. Youssef Nada è forse l’immagine più vivida del costo umano della guerra contro l’islam. Iscritto nella lista nera delle persone sospettate di sostenere il terrorismo, il banchiere si ritrovò accusato, nel 1997, di finanziare il movimento Hamas in un articolo del Corriere della Sera firmato dal giornalista Guido Olimpio.

 

Tali affermazioni, benché subito smentite, furono riprese dalla televisione pubblica della Svizzera romanda con notevoli aggravanti ai danni di Nada e dei Fratelli Musulmani di cui era esponente di spicco. Ma non basta. In seguito all’11 settembre il suo nome fu inserito nella lista nera dei finanziatori di Al Qaeda. È solo grazie a uno spirito indomito che il banchiere è riuscito a far cancellare, dopo anni di lotte in tribunale, il suo nome dalla lista delle Nazioni Unite.

 

Meno grave, ma più assurda la vicenda di Rassmea Salah, l’islamica divenuta nota poiché presiedeva un seggio elettorale di Bresso col volto coperto, secondo un servizio di Studio Aperto del 2009, e che invece indossava unicamente il chador. Né si può dimenticare l’incredibile caso di Usama El Santawi, il cittadino italo-egiziano indicato da media influenti come il capo di una cellula di Al-Qaeda con accuse interamente inventate.

 

Il paradossale caso di Vito Carlo Moccia sancisce invece la totale vulnerabilità dei gruppi religiosi minoritari. Tanto che una banale ricerca Internet dei nomi diffamati protagonisti del film di Bauccio illustrerà come quello di Moccia è l’unico ancora coperto di fango fin dai primi risultati di Google. Benché una sentenza di tribunale abbia definitivamente smontato il teorema della psico-setta, è sufficiente cliccare sul quinto risultato per leggere le prime calunnie. Citando a caso: Vito Carlo Moccia, maestro di Reiki, faceva eseguire esercizi terapici che portavano gli allievi alla spersonalizzazione e all'accettazione di qualunque cosa venisse proposta dal maestro e mirava a creare dipendenza psicologica.

 

L’unico quotidiano on-line che ha reso giustizia agli imputati è Affari Italiani, che scrive: Vito Carlo Moccia è stato assolto da tutti i capi d’imputazione a esclusione dell’associazione per delinquere finalizzata all’abuso di professione psicologica, dovuta alla scelta di non iscriversi all’Albo.  Sono risultate infondate le accuse di maltrattamenti, truffa, violenza privata, procurato stato di incapacità e calunnia, a testimonianza della totale strumentalizzazione mediatica del processo.

 

Chi decide qual è la linea che separa un culto da una setta, nell’assenza di una legge in merito che sia stata approvata dal Parlamento democraticamente eletto dai cittadini? Non ci stancheremo mai di ricordare che esiste un apposito dipartimento della Polizia di Stato, la Squadra Anti-Sette, che ha come referente principale un sacerdote cattolico. Il compito di questo dipartimento non è quello che ci si auspicherebbe in una nazione travolta dallo scandalo dei preti pedofili, ovvero il compito di monitorare i crimini in ambito religioso nella sua totalità, bensì d’indagare solo su alcuni gruppi religiosi. Quelli che gli “esperti” indicano come sette. La legge non serve, basta la parola dell’esperto: e dall’indomani la bolla dell’eresia significa gogna e carcerazione.

 

Eppure, nonostante questi casi sconvolgenti eletti fra le centinaia di vicende analoghe, al termine del documentario si ha la sensazione che il ritratto più omnicomprensivo della laicità dello Stato italiano sia ancora oggi quello del caso Englaro. Questo perché il dibattito sul fine vita è tuttora quello di un paese, come nota Daniele Garrone, piuttosto arretrato in materia. La questione del testamento biologico, che dovrebbe essere al centro del dibattito della campagna elettorale, è relegato al buio recesso dei “temi etici”. È quell’ala scomoda della politica italiana in cui si definisce, ad arte, l’ossimoro del conflitto tra cattolicesimo e laicità. Ciò avviene benché quest’ultima, per sua stessa natura, non pregiudichi in alcun modo la libertà del cattolico di vivere secondo le proprie convinzioni.

 

Ancora oggi c’è chi non manca di additare Englaro come un assassino. È oltre la diffamazione, un autentico nemico da abbattere, un uomo il cui dolore non è mai stato rispettato. Se c’è un’icona della laicità, violentata dentro le sue pareti, trascinata sulla pubblica piazza e accusata dei peggiori crimini, nessuno purtroppo può incarnarla meglio di lui. Pochi giorni fa è ricorso l’anniversario del rogo di Giordano Bruno, un uomo che nessuno ha costretto a gridare la propria verità davanti alla Chiesa che l’avrebbe arso vivo. Nessuno ha chiesto a Englaro di fare pubblicamente quello che, come ha ricordato Marco Bellocchio, avrebbe potuto fare in silenzio.

 

Ma come il padre di Eluana non si stanca di ribadire, la sua vicenda ha svelato all’Italia un problema troppo taciuto, mostrando a tutti cosa accade in simili situazioni con la normativa in vigore. E con questo obiettivo si è esposto al martirio mediatico. Chissà quanti altri martiri dovranno essere consumati prima che il nostro Parlamento decida di concedere a tutti i cittadini, e non solo ad alcuni, la libertà della religione e dalla religione. Per ora ci limitiamo a notare che il dibattito politico è, ancora una volta, altrove, ripiegato sull’ultima sparata di Silvio Berlusconi, sul calcolo ossessivo di quante poltrone potrebbe sottrarre Grillo a chi si credeva abbonato agli scranni di Montecitorio, sul giaguaro di peluche consegnato a Bersani.

 

Vale la pena ricordare, nell’ultimo periodo, una sola occasione in cui si è parlato di dialogo interreligioso. Mi riferisco al commento di Din Syamsuddin, presidente dell’organizzazione islamica indonesiana Muhammadiya, nell’apprendere le dimissioni del Pontefice: La decisione del Papa è totalmente sincera, merita profondo rispetto e apprezzamento. Ricordo di aver incontrato Benedetto XVI in quattro diverse occasioni, nel contesto di eventi volti a promuovere il dialogo interreligioso; ne conservo ancora oggi un bellissimo ricordo, per l'immagine di un grande pontefice che, con coraggio e tanta buona volontà, voleva creare armonia e buone relazioni con il mondo musulmano. Un proposito che dobbiamo raccogliere e rafforzare nel futuro.

 

Sembra quasi un segno divino, che ci dice: vedi, forse sarebbe facile vivere in armonia, se solo i nostri governanti si curassero della laicità non dico quanto i Radicali, ma almeno quanto il Papa.

 

Camillo Maffia

 


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