Il figlio di 4 mesi e mezzo nella sua pancia nascerà morto. E allo stesso destino sembra essere condannata anche lei, Beatriz, 22 anni, già madre di un bimbo. La giovane donna, cittadina di El Salvador, soffre di Les (Lupus eritematoso sistemico), grave alterazione del sistema immunitario, e di insufficienza renale: la sua vita è a serio rischio, soprattutto a causa di questa gravidanza che, viste le leggi vigenti nel Paese centro-americano, non può interrompere senza andare incontro ad 8 anni di galera.
Nonostante il feto non abbia alcuna speranza di sopravvivere perché anencefalico (senza cervello), la ragazza è di fatto condannata a morire perché l'aborto è proibito dal codice penale salvadoregno, che condanna inoltre a una lunga pena detentiva chi acconsente o attua un'interruzione di gravidanza, a prescindere dalle motivazioni.
Beatriz si è quindi rivolta al Tribunale Supremo, chiedendo disperatamente che le venga salvata la vita, in contrarietà a delle disposizioni che, tuona Amnesty International, sono “crudeli e disumane”: l' appello sta sconvolgendo l'opinione pubblica del Paese, fortemente divisa tra il rispetto delle norme e l'inammissibilità di quello che potrebbe essere definito un vero e proprio omicidio di Stato.
La ministra della Salute di El Salvador, María Isabel Rodríguez, è favorevole alla richiesta della donna, così come il rappresentante dell’Onu a El Salvador, Roberto Valent. Ma non sembra essere dello stesso parere la 'caritatevole' Chiesa locale, secondo il cui vescovo, José Luis Escobar, il caso di Beatriz “sembra uno stratagemma per conseguire la legalizzazione dell'aborto”: “Chiedo all'Alta Corte – ha continuato l'uomo di Dio – di ricordare che per la Costituzione una persona umana è tale dal concepimento”. (F.U.)
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