Una sentenza al giorno leva il legislatore di torno. Pare infatti che, in un Paese in cui i diritti umani e civili faticano a venir fuori dalla palude legislativa in cui sono confinati, sia compito della Corte costituzionale bonificare il terreno su cui, prima o poi, il parlamento italiano deciderà di edificare uno Stato laico, liberale, libertario, garantista.
Nell’attesa che venga quel giorno, la Consulta oggi ha stabilito che la norma che prevede l’annullamento del matrimonio nel caso in cui uno dei due coniugi cambi sesso è incostituzionale. Pronunciandosi in riferimento al caso di una coppia di Bologna le cui nozze, celebrate nel 2005, erano state annullate dopo che lui aveva deciso di diventare donna, i giudici hanno spiegato che non è possibile ‘imporre’ il divorzio alla coppia se entrambi decidono di portare avanti la loro relazione.
La legge dichiarata incostituzionale dalla Corte è la n. 164 del 1982, nei suoi artt. 2 e 4: questi “non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei due coniugi (con cui si permette il cambio anagrafico dei documenti successivo agli interventi chirurgici per il cambio di genere, ndr), che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima”.
In pratica la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo e, di fatto, obbliga al divorzio, senza prevedere alcuna unione alternativa che “consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza”.
Perciò la Corte invita “con la massima sollecitudine” il legislatore a darsi da fare per porre rimedio ad una questione che manifesta i soliti “deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti”. Il nodo da sciogliere è il solito: il vuoto normativo creatosi tra la volontà e l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio e i diritti e l’esercizio della libertà di scelta delle persone, costrette in un limbo sociale e giuridico, orfane di uno Stato pigro e indolente.
Nei fatti, dunque, il matrimonio della coppia bolognese resterà nullo: il caso torna ora in Cassazione, da dove erano partiti gli atti verso la Consulta e dove il procedimento dovrà esser chiuso. Il come e il quando sono un mistero, non essendo prevista alcuna tipologia di unione civile nell’ordinamento italiano. A finire sotto la lente della Corte Suprema, allora, dovrebbe esser qualcos’altro.
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