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16/11/24 ore

Ru486 e pillola del giorno dopo, destini italiani a confronto


  • Silvia Soligon

“Non vi è più alcuna scusa per non usare la Ru486 negli ospedali italiani”. Sono queste le parole utilizzate da Silvio Viale, responsabile del Servizio unificato di Interruzione volontaria di gravidanza dell'Ospedale Sant'Anna di Torino, per commentare i dati relativi a 3031 donne che, alla data del 30 settembre 2012, hanno dovuto affrontare un aborto all'ospedale torinese.

 

L'analisi di questi dati, presentati ad Edimburgo durante il convegno dell'International Federation of Abortion Providers and Contraception dal titolo “Unwanted pregnancy, a fact of life”, ha dimostrato che “è possibile usare la Ru486 in Italia senza violare la legge. Inoltre ogni tipo di aborto, medico o chirurgico, spontaneo o volontario, del primo o del secondo trimestre, è reso più efficace e più sicuro dall'impiego della Ru486”.

 

Le parole di Viale appaiono rassicuranti in un panorama che ha le sconfortanti caratteristiche delineate da una recente indagine della Società Medica Italiana per la Contraccezione, secondo cui fino ad oggi la necessità di presentare l'esito negativo di un test di gravidanza per poter ottenere la ricetta per quella che viene comunemente chiamata “pillola dei 5 giorni dopo” di fatto ha ostacolato le prescrizioni. Accade, così, che anche se la maggior parte dei ginecologi considera la “pillola dei 5 giorni dopo” un farmaco migliore rispetto ai precedenti, solo 3 specialisti su 10 la prescrivono.

 

L'obbligatorietà del test di gravidanza è “un rischio concreto di inaccessibilità o comunque di difficoltà e ritardo nell’accesso alla contraccezione d’emergenza”, ha spiegato Emilio Arisi, presidente della SMIC.

 

La pillola abortiva, o Ru486, starebbe seguendo una tendenza diversa, tanto che ad oggi in Italia l'hanno utilizzata già più di 20.000 donne, di cui più di 7.000, corrispondenti al 27,2% delle interruzioni volontarie di gravidanza, nel solo 2011. Nei primi sei mesi del 2012 questa percentuale è già salita al 28,6% e considerando solo i casi di aborto volontario entro i 49 giorni di gestazione arriva al 99%.

 

“Questa è certamente la casistica più ampia di un ospedale italiano sulla Ru486”, ha precisato Viale “e dimostra come, nonostante le polemiche e le resistenze, sia possibile introdurre la Ru486 nella pratica clinica. I benefici sono evidenti. Ogni ritardo è indice di cattiva pratica clinica e potrebbe configurare un'omissione di pubblico servizio. Non permettere la scelta tra metodi medici e chirurgici è antistorico e antiscientifico".


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