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16/11/24 ore

La nonviolenza censurata degli studenti, informazione solo se sono violenti



Anche quest’anno abbiamo assistito a una verità parziale. Delle iniziative nonviolente portate avanti dal movimento studentesco con la riapertura dell’anno scolastico si è discusso poco. Eppure sono stati organizzati sit-in, flash-mob, manifestazioni, autogestioni etc. Di rado si entra nel dettaglio di queste realtà. L’opinione pubblica non è al corrente del dibattito culturale interno agli istituti.

 

Esprimere un giudizio diventa estremamente arduo per chi si informa tramite i telegiornali, ovvero la maggioranza degli italiani. L’affastellarsi di volantini e appuntamenti diffusi dagli studenti serve a poco. Se si chiede a uno studente se la nonviolenza subisce una rigorosa censura, come denunciano da sempre i Radicali, il più delle volte risponderà affermativamente.

 

D’altro canto vediamo un’esaltazione della violenza. Anche qui, lo schema è noto. Dieci manifestazioni passano sotto silenzio; all’undicesima, un facinoroso tira un sasso e subito dopo la notizia è su tutti i giornali. Non è una realtà iscrivibile ai soli studenti, purtroppo. Al tempo stesso, però, bisogna ammettere che questa categoria ne è particolarmente toccata. Ricordiamo che a molti di loro non è concesso votare, perché non hanno ancora compiuto la maggiore età. Il che non toglie che due parole da dire sul DDL Aprea le avrebbero eccome, dato che li riguarda da vicino.

 

La proporzione tra i tentativi d’informazione tramite il web e attraverso la protesta nonviolenta e l’effettiva trasmissione da parte dei media generalisti delle notizie diffuse è decisamente scadente. Soprattutto se contrapposta al risalto degli episodi di violenza che si verificano alle manifestazioni. Il messaggio che passa è che la violenza paga, se ciò che si vuole ottenere è apparire come realtà, rivendicare la propria esistenza. Se questo è grave dal punto di vista democratico per quanto riguarda il popolo italiano, è inaccettabile sul piano educativo per ciò che concerne gli studenti, che non possono crescere con questa pericolosa prospettiva. Il compito dei media d’informare correttamente, in questo caso, assume una rilevanza particolare. In ballo c’è il futuro delle nuove generazioni, e quindi del paese.

 

Avviene invece l’opposto. Gli studenti sono “choosy”, immaturi, violenti.  Prendere parte al dibattito sociale e politico cercando un posto nella società civile è prova di immaturità; essere picchiati è dimostrazione di violenza. Certo, qualche facinoroso in piazza ci sarà. Ma i famigerati black bloc, in piazza, tanti studenti proprio non li hanno visti. Il bizzarro movimento dalla inaudita pericolosità che si materializza solo alle manifestazioni in cui chi protesta finisce all’ospedale, dal G8 di Genova in poi, non dà più mostra di sé come un tempo.

 

Chissà, forse avranno le ossa rotte. Oppure l’immagine della piazza ci viene presentata in maniera distorta. Gli studenti hanno un bel precisare: “Noi non siamo i black bloc”. L’immaginario mediatico non parlerà comunque di “studenti impegnati”, ma di ragazzi violenti. E questo avviene con buona pace delle migliaia di iniziative nonviolente che i giovani stanno portando avanti in tutta Italia.

 

Sono andato a vedere l’autogestione del Tacito, a Roma. Ho trovato un clima di ordinata cooperazione tra studenti e docenti, tanta voglia di cultura e di autodeterminazione che sappiano procedere di pari passo. E ci riescono, con la piacevole sorpresa degli insegnanti e della dirigente, che si sono presi la responsabilità di autorizzare un’azione di disobbedienza civile col solo scopo di far emergere la realtà effettiva del movimento studentesco. D’insegnare, sì, ma anche d’informare.

 

Ma l’informazione latita, e sulle pagine dei principali quotidiani, proprio come nei servizi televisivi, iniziative come questa non hanno alcun risalto. Solo la violenza detiene il suo inoppugnabile trono in prima pagina. Eppure, parlando con i rappresentanti d’istituto si comprende come lo scopo della protesta sia certamente di carattere politico, ma che rivendica la sua natura mediatica di contrapposizione alla censura e alla disinformazione. Gli studenti, su questo, sono chiari. Anzi, dichiarano apertamente l’intento costruttivo dell’autogestione da un lato, e la necessità di reagire alla campagna stampa dall’altro, affinché la violenza, ancora una volta, non prevalga nell’immaginario mediatico. “Ci sentiamo strumentalizzati proprio perché non compiamo atti violenti”, afferma uno di loro.

 

Una frase simile può suonare paradossale. A ben vedere, però, la percezione non è affatto errata. Gli organizzatori sono consapevoli del fatto che aver scelto la strada dell’autogestione, della didattica alternativa, darà loro una minore risonanza rispetto all’occupazione, e che quest’ultima avrà un risalto inferiore rispetto a un episodio di violenza durante un corteo. I ragazzi “choosy” rivendicano la loro autodeterminazione. Cercano di sopperire alle lacune dei programmi. Invitano psicologi del consultorio a tenere i corsi di educazione sessuale che lo Stato dovrebbe fornire e non fornisce. Tengono corsi di musica, sebbene il Ministero sia convinto che i diplomati, pur essendo in possesso di un attestato che riconosce loro requisiti di cultura generale, non siano però tenuti a sapere chi erano Beethoven, Mozart o Stravinsky.

 

Leggono la Costituzione, in crisi d’astinenza da educazione civica. E si scagliano contro i tagli, lo spettro della privatizzazione, il DDL Aprea. “Vogliamo essere informati e rispondiamo con la cultura”, dichiara un rappresentante. Del clima collaborativo, dell’esperienza positiva tanto per i docenti che per gli studenti, sui media generalisti non c’è traccia. Si parla invece del loro “approccio violento”. Per scoprire di più sulle violenze subite dai ragazzi e sulle schedature, invece, occorre interrogare più la rete che la televisione. Le poche eccezioni positive, come Massimo Giannini su La Repubblica, intervenuto anche al Tacito su invito degli studenti stessi, non sono sufficienti a contrapporsi a un’immagine mediatica dello studente che vuole decidere del proprio futuro, e viene dipinto come immaturo, violento, black bloc.

 

Lo schema sembra essere analogo a quello della stigmatizzazione mediatica delle minoranze. Citiamo, ad esempio, il noto caso di Ponticelli a Napoli. Una ragazza di etnia slava è accusata di rapire un bambino. La folla inferocita si scaglia quindi contro i campi nomadi, dandoli alle fiamme. Anziché condannare il lancio di molotov su donne e bambini, i media e la politica gridano alla “emergenza rom”. Il problema è la razza, non il razzismo. Se un italiano rapisce un bambino, non scatta alcuna emergenza. È membro della maggioranza.

 

Oggi sembra che gli studenti stiano entrando pericolosamente in questo genere di stigmatizzazione mediatica. Qualche facinoroso, nel corso dell’ennesima forma di protesta nonviolenta organizzata dal movimento studentesco, scatena la reazione delle forze dell’ordine. Nel vedere gli scontri, appare preoccupante il grado di violenza a cui giungono alcuni agenti nei confronti di ragazzi inermi e, in molti casi, minorenni; ben più inquietante il giallo dei lacrimogeni. Accanto a questa constatazione, però, passa sempre più in primo piano il messaggio che sia il movimento studentesco ad essere violento. Si comincia a dipingere in modo minaccioso un intero agglomerato di individui che chiedono democraticamente la partecipazione al dibattito sociale, piuttosto che la reazione eccessiva di chi ha il compito di mantenere l’ordine.

 

Siamo abituati a vedere taciuti gli aspetti positivi delle minoranze, che si tratti del grandioso patrimonio artistico-culturale del popolo Romani o la profondità filosofica dell’islam moderato. Questo silenzio sta calando in modo sinistro sulle risorse delle future generazioni. Sul loro desiderio di espressione, di apprendimento, di autodeterminazione e di cultura. Su questa strada, gli studenti potrebbero entrare a far parte delle categorie sociali soggette a stigmatizzazione mediatica negli anni a venire.

 

Un simile passo, se unito alla censura sistematica della nonviolenza contrapposta all’esaltazione della violenza, porrebbe una lapide sul confronto democratico con i giovani e sulla loro fiducia nelle istituzioni e nella democrazia. Ecco perché occorre valorizzare le iniziative culturali e nonviolente del movimento studentesco: gli studenti che oggi levano una voce critica sulle istituzioni saranno le istituzioni di domani, e non possiamo permettere che una sfiducia definitiva si arrampichi come edera sulle loro certezze, avvelenandole dall’interno, come già purtroppo sta avvenendo.

 

Camillo Maffia

 

 


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