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23/11/24 ore

Il Papa e i peccatori


  • Silvio Pergameno

Le dichiarazioni del Papa, in questi giorni, su omosessuali, divorziati e aborto - che trovano anticipazione e fondamento nelle risposte alle domande dei giornalisti nell’aerea conferenza stampa del recente viaggio di ritorno da Rio - rappresentano una prosecuzione del quadro della svolta che Bergoglio intende imprimere alla Chiesa cattolica, richiamandosi a San Francesco, che nell’amore per le creature celebrava la Chiesa più profonda e, se si vuole, più fuori dal mondo, semplice, povera, umile e ultima fra gli ultimi (ostacolato dal papa del suo tempo, quell’Innocenzo III sostenitore della teocrazia papale, della forma più coerente del potere temporale della Chiesa)

 

Si può muovere da una considerazione, apparentemente estranea a questo discorso: ci sembra di non aver mai sentito una parola nella bocca di papa Francesco, quella di peccato e di peccatori, parole che appartengono a un terreno culturale che gli è, in tutta evidenza, estraneo. Il peccato presuppone la trasgressione di un precetto, di una regola, ma papa Francesco non vuole proprio la Chiesa delle regole e vuole, invece, la Chiesa della misericordia, quella che apre le braccia a tutte le miserie umane, la Chiesa del vangelo e del pastore che è felice di accogliere la pecorella smarrita, la Chiesa che non giudica perché non abbiamo il diritto di giudicare; e poi è proprio Dio che ha creato l’uomo libero.

 

E’ certamente una rivoluzione, che contiene in sé la fine di ogni pretesa di potere temporale, una rivoluzione che però non si pone affatto in contrasto con i principi evangelici, per i quali il Figlio di Dio dice “Il mio regno non è di questa terra”; non è cioè il regno del potere, dei poteri, del denaro (sul quale si scarica l’unica, vera e netta condanna di Francesco), non è il regno del diritto e delle regole e delle interpretazioni sempre più cavillose delle regole: una filosofia per la quale resta pienamente giustificato il principio libertario che la coscienza è un campo così esteso che va al di là della stessa legge.

 

In questo modo il nuovo papa, che è certamente un papa nuovo, pone la Chiesa al di là dello stato, anche dello stato liberale, i cui fondamenti sono l’autolegittmazione e la riserva a se stesso del potere e dell’uso della forza, proprio perchè unico soggetto che ne ha la legittimità; il papa cioè conferisce alla Chiesa una posizione metastorica che le consente in ogni caso di sopravvivere e di legittimarsi anche come mentore di tutti gli stati, compresi quelli fondati sui principi del liberalismo (ma strettamente ancorati alla storia, al principio di realtà e di effettualità), posizione che le consente anche di fondare la propria universalità sul fatto che siamo tutti figli di Dio.

 

Forse proprio queste premesse giustificano ad esempio la condanna assoluta della guerra, che supera il principio della guerra giusta su cui il pensiero della Chiesa si è tanto affaticato, ma che aveva un senso nella premessa di una Chiesa in fondo “temporalistica” e storicizzata, perchè commisurava la propria azione alle contingenze nel tempo; queste premesse giustificano la condanna del denaro e propongono una chiesa mendicante.

 

E’ chiaro perché allora questa Chiesa smantella oggi con papa Francesco tutte le ipocrisie, i perbenismi, i pregiudizi che si sono agitati contro il divorzio, la depenalizzazione dell’aborto, l’omosessualità: proprio le grandi battaglie radicali, nelle quali chi le promuoveva era ben consapevole che non contenevano nulla di anticristiano, mentre le resistenze da parte della destra e di una certa sinistra erano legate proprio a discorsi di mero potere! Ed inutile e anzi dannoso potere, che schiacciava diritti umani senza alcuna vera necessità, così come continua a succedere oggi quando si pretende di escludere da un programma di un governo quella riforma della giustizia, o meglio dell’ingiustizia, dietro la quale sta il massacro di diritti umani, oltre che civili, che purtroppo ben conosciamo).

 

Papa Francesco configura una Chiesa senza potere, non guarda alla Chiesa dei princìpi non negoziabili, che accetta perché sanciti dalla Chiesa della quale egli è figlio devoto, ma sposta il discorso sulla natura stessa della Chiesa e allora si trova necessariamente dalla parte dei diritti umani, dei poveri, di coloro che non contano nulla (e di fronte allo stato-provvidenza ognuno di noi conta sempre di meno, mentre finiscono necessariamente per contare sempre di più i depositari terminali dell’interpretazione e dell’applicazione delle leggi, che sono poi quelle che proprio questo stato si dà).

 

Questo Papa parla alle coscienze di tutti e mette anche le coscienze dei cattolici di fronte alle loro responsabilità e con i suoi modi, apparentemente semplicistici e populistici, agita problemi enormi. segnatamente quando non vuole scorte e papa mobili o quando rifiuta di partecipare a manifestazioni ufficiali per capi di stato; c’è da augurarsi sia anche in grado di dare uno scossone alla superficialità e al pressapochismo nazionale.

 

 


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