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03/05/24 ore

Il governo vintage di Enrico Letta


  • Luigi O. Rintallo

Tecniche dilatorie, mance clientelari e sussulti virtuosi, tanto improvvisi quanto vani: sembra la descrizione di un governo degli anni Settanta, ma ben si adatta al ministero di Enrico Letta.

 

Rumor o Colombo del sec. XXI, il premier ripercorre le loro orme, fra i rimbrotti del segretario Renzi che si appresta a vestire i panni del Donat Cattin o Marcora di turno. Il tutto in perfetta salsa democristiana, con l’inconveniente di non poter disporre né di partiti veri, né di strumenti economici quali la svalutazione della moneta.

 

Con uno Stato ingombrante, ma per quel che serve assente; l’assedio delle corporazioni e delle lobbies; la vaghezza e l’inefficacia delle proposte avanzate in ogni campo (dalle riforme economiche alla legge elettorale), lo scenario che si delinea è quello di un dissolvimento annunciato.

 

Se poi guardiamo all’interno del maggior partito della coalizione governativa, il PD, assistiamo all’eclissi della componente post-comunista. Fenomeno che si somma alla restaurazione degli ultimi vent’anni, con la quale si è proceduto all’annichilimento del riformismo liberale e socialista.

 

La miopia degli eredi del Pci, che quella restaurazione favorì, li ha portati ora a svolgere un ruolo complementare. È vero che resta la postazione del Quirinale, dove siede il “migliorista” Napolitano, ma è in una condizione per così dire azzoppata dopo la fine del progetto delle larghe intese, per la pacificazione e la riforma costituzionale. Sia perché in lui non si sono mai riconosciuti tutti gli ex Ds, sia perché obiettivamente il disegno che si proponeva è di fatto impraticabile.

 

Si è così tornati indietro, a governi democristiani nello spirito e nella sostanza. Ma si tratta della Democrazia cristiana declinante e non certo di quella vincente. In pratica, non ci si smuove da quella metà degli anni Settanta che registrò la crisi del sistema politico italiano: nemmeno l’89 e la fine del mondo bipolare sono riusciti a determinare uno sblocco della situazione reale del Paese, portando soltanto in maggiore evidenza tutte le ragioni della crisi senza impostare alcun progetto di risoluzione della crisi medesima.

 

 


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