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14/05/24 ore

Renzi, lo scoutismo nell'impatto della dura realtà


  • Luigi O. Rintallo

Negli ultimi editoriali dedicati alla politica interna, scritti dopo che Renzi è divenuto bersaglio delle critiche di Scalfari e delle "élites", Giuliano Ferrara ha delineato un parallelo fra il ruolo rivestito dal premier e quello che fu il ruolo di Craxi in passato (accantoniamo Berlusconi, che pure Ferrara usa come termine di confronto ... ma si tratta di altra storia....).

 

Il paragone, però, a nostro avviso funziona solo in parte. Fa comodo al direttore del «Foglio» proporlo perché così rafforza, in fondo, la coerenza del suo ragionare politico, ma se regge sul fronte della descrizione dei "comuni nemici", regge meno bene sulla natura delle azioni politiche poste in essere dalle due personalità. Indubbiamente, almeno dagli anni Settanta in poi, è in atto nel paese un duro confronto politico che divide riformatori da conservatori. Tuttavia è mancata una linearità di comportamenti, cosicché di volta in volta anche i possibili innovatori hanno spesso finito per insabbiarsi nella difesa di ordini ormai superati, praticando compromessi con gli avversari, i quali hanno di fatto ottenuto di raggiungere il proprio obiettivo: non mutare nulla.

 

C’è comunque una bella differenza fra il Craxi che vince il referendum sul decreto di San Valentino, con il quale si toglievano 27.000 lire dalle buste paghe, e il Renzi che vince le elezioni europee distribuendo 80 euro ai lavoratori dipendenti con meno di 15.000 euro annui. Tutti e due i leader ci "misero la faccia" – per ripetere l’abusato ritornello renziano – ma la portata dei due atti è completamente diversa. Da un lato una scelta impopolare, volta ad abbattere l’inflazione a due cifre; dall’altro, un espediente mascherato da perequazione redistributiva.

 

Il retroterra di Renzi ha poco o nulla a che fare con una visione non statocentrica: i suoi discorsi parlano la lingua di un generico efficientismo, ma si guarda bene dal rivoltare il punto di vista dei rapporti fra Stato e società, sicché quest’ultima possa finalmente definirsi libera. E lo stesso vale per quel che riguarda l’impianto culturale complessivo, che risente fortemente dell’impasto di banalità politically correct e relativi adattamenti innestati dal ceppo originario dello scoutismo cattolico.

 

Il tutto zavorrato dalla coesistenza ultraventennale nell’aggregato ulivista-democratico, che è del tutto alieno da prospettive non conformi o per lo meno non sorde al richiamo di stampo libertario con al centro l’individuo responsabile. L’ottica prevalente è sempre quella del docile gregge, anziché quella della torma di lupi. Come controprova vi è il sogno segreto della sua politica: un governo sentito come indispensabile, di fatto privo di alternative, per ripetere nel XXI secolo il "bipolarismo imperfetto" imperniato un tempo sulla DC. Peccato che il Gattopardo ha stavolta da fare i conti con il resto del mondo e nulla sarà uguale a prima.

 

 


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