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18/11/24 ore

Matteo Renzi e Manuel Valls, Italia e Francia: anologie nelle differenze


  • Silvio Pergameno

E’ possibile istituire un parallelo o almeno delineare delle affinità tra Italia e Francia di fronte alla profonde inquietudini connesse con la pesantissima crisi economica dalla quale l’Europa nel suo complesso comincia a dare segni di ripresa, mentre due dei principali membri dell’Unione – il nostro, per l’appunto, e la confinante sorella latina – continuano a dibattersi in grumi di ostacoli, dai quali appare sempre assai complessa la possibilità di riuscire a liberarsi? E poi perché proprio Italia e Francia?

 

Il tentativo di dare una risposta o delle risposte a questa domande può portare lontano, molto lontano, molto al di là delle possibilità concesse alle cinquanta righe (anche troppe) di un intervento on line. Ma, avendo cura di non scomodare, o almeno di non scomodare troppo, i massimi sistemi, è abbastanza facile rilevare come Italia e Francia e i loro sistemi politici si trovino in mezzo al guado perché la crisi che ci affligge è frutto diretto del processo di globalizzazione che ha investito il mondo intero. E della scelta dei paesi europei di non cercare risposte alle difficoltà di questi nostri anni difficili in sistemi di chiusure protezionistiche. Una scelta di apertura coraggiosa, l’unica compatibile con i principi di fondo della democrazia, ma che ha costituito il presupposto per l’emersione di tutta una serie di problemi e difficoltà, perché entrava in contrasto con le strutture economiche, ma insieme politiche e sindacali, venute in essere nel secondo dopoguerra e che hanno determinato la fisionomia dei nostri stati sociali.

 

Una fisionomia caratterizzata soprattutto dall’indispensabile presenza di un amplissimo ruolo dello stato, non però nelle forme autoritarie che avevano caratterizzato i vari fascismi europei nel periodo fra le due guerre mondiali, ma come strumento di mediazione di interessi tra la vastissima gamma di gruppi sociali che caratterizzano la cosiddetta società civile e ne determinano l’atomizzazione, tutti comunque ben determinati a conquistare privilegi settoriali e anche specifici a ogni singolo gruppo e a difenderli fino alla morte.

 

In tale contesto anche le strutture politiche fondamentali, i partiti politici, si sono conformati non con il carattere di libere associazioni per concorrere, con metodo democratico, alla vita politica nazionale, come recita l’art. 49 della nostra costituzione, ma, all’opposto come corporazioni a difesa di gruppi, sottogruppi, gruppuscoli, portatori di interessi particolari.

 

In tale situazione, quell’onnipresenza invasiva del potere pubblico, che a prima vista si coglie nelle nostre giornate, non rappresenta l’esercizio di un potere reale e forte, ma è l’espressione delle forze coalizzate di corporazioni e gruppi di corporazioni e della loro capacità di strumentalizzare a proprio vantaggio i poteri e le funzioni pubbliche.

 

Il processo di globalizzazione ha messo in crisi questo stato di cose, ha messo in crisi gli stati sociali così come sono stati costruiti e pertanto rende indispensabile ripensare oggi su nuove basi, compatibili con le economie di mercato, le tutele, i diritti, le provvidenze come le conosciamo. Ed è chiaro allora perché le maggiori resistenze a cambiare si rinvengano proprio nelle corporazioni sindacali, di ogni stampo e colore. E perché, ad esempio in Francia, mentre la tradizione socialista subisce le conseguenze del contrasto innanzi delineato, la ricerca di tutela dei benefici del passato si sposti su un’estrema destra che ne fa proprie motivazioni ed aspirazioni, e in Italia l’analogo problema mette in crisi il partito democratico nel quale si sono convogliati gli eredi del PCI e della sinistra cattolica e fa emergere il ribellismo confuso e per alcuni aspetti qualunquistico del Movimento 5 Stelle.

 

Matteo Renzi e Manuel Walls, che dal marzo scorso guida il nuovo governo socialista di Parigi (resosi necessario per realizzare la svolta che il Presidente Hollande si è trovato a dover imprimere alla sua politica al fine di affrontare una situazione analoga a quella italiana - deficit oltre il 3%, disoccupazione in aumento, esigenza di una pesante spending review) si trovano così certamente di fronte a problemi analoghi.

 

Le analogie però finiscono con questa considerazione. La Francia infatti non è assillata da un debito pubblico così pesante come quello italiano, fruisce di una buona amministrazione pubblica, non presenta gravi problemi nel campo della giustizia… e Manuel Walls, pur avendo perduto la maggioranza assoluta all’Assemblea per la defezione di trentadue deputati del suo partito, ne ha comunque conservato quella relativa e ne ha già l’altro giorno ottenuto il via libera su una serie di misure, comunque non così pesanti come quelle che invece si trova costretto ad adottare Matteo Renzi, il quale poi deve tuttora affrontare la situazione parlamentare, con prospettive cariche di incertezze.

 

Infatti, una parte della rappresentanza parlamentare del PD, eletta nelle elezioni del febbraio 2013 in un tempo nel quale segretario del partito era ancora Pier Luigi Bersani, non è affatto d’accordo con le innovazioni che il premier italiano annuncia per affrontare la crisi, in particolare per quanto riguarda i contratti di lavoro (e il Presidente del Consiglio nei suoi ultimi interventi alla Camera e al Senato ha dimostrato di essersi dovuto più o meno adattare a rigorose misure, come richiesto da Bruxelles e dalla Banca centrale europea, nonostante rivendichi, come anche Walls, le prerogative della sovranità nazionale).

 

Matteo Renzi ha poi avvertito la necessità di intervenire sulla composizione della sua segreteria del partito, dando accesso alle correnti di minoranza, le quali comunque non hanno rinunciato a far valere le loro posizioni. E sul piano parlamentare ha dovuto, sia pur con molta prudenza, ventilare la minaccia di elezioni anticipate, per evitare di dover scongiurare il rischio di restare affidato alla buona volontà di Forza Italia non soltanto per le riforme istituzionali (partito esso pure dilaniato da pesanti conflitti interni). Senza dimenticare che la svolta politica che Renzi propone comprende anche un intervento sulla giustizia, che, per quanto modesto, non incontra il favore dei magistrati, e che la rivendicazione che egli ha effettuato dell’autonomia della politica e della fine del ruolo di supplenza svolto indirettamente dai giudici rivela ampi margini di debolezza di fronte a rappresentanze parlamentari che, per beghe di partito, non riescono nemmeno ad effettuare le nomine per la Corte costituzionale e per il Consiglio superiore della Magistratura.

 

E infine senza dimenticare che purtroppo in Italia tra il dire e il fare restano ampi bracci di mare e anche le leggi (innovative) approvate dal parlamento stentano poi a diventare operative, per le resistenze frapposte dagli apparati pubblici, che si sentono colpiti. E con i livelli europei che attendono invece risultati effettivi e controllabili.

 

In una prima approssimazione, cioè, Manuel Walls parte meglio di Renzi.

 

 


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