Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

29/12/24 ore

Le chiacchiere di Renzi stanno ancora a zero


  • Ermes Antonucci

Il tempo passa, il traguardo dei fatidici mille giorni lentamente si avvicina, ma il premier Matteo Renzi sembra proprio non aver superato il suo problema di "annuncite" cronica, preferendo giocare la partita più su promesse propagandistiche che su un'azione di governo effettiva.

 

Notano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi che a un mese di distanza dalla presentazione della legge di Stabilità da parte di Renzi, si fa fatica a vedere in che modo questa legge possa aiutare concretamente la crescita economica del Paese. "Una manovra può essere espansiva anche se, a parità di deficit, riduce le tasse sul lavoro", commentano i due economisti, aggiungendo tuttavia che questo non pare essere il caso della manovra renziana. "Con la legge di Stabilità, la pressione fiscale passa dal 43,3% del 2014 al 43,2%, nel 2015. Cioè rimane invariata. E temiamo che questo calcolo parta dall’ipotesi ottimista che le Regioni non traducano i 4 miliardi di tagli loro imposti dallo Stato in maggiori tasse locali, come alcune già stanno facendo". Insomma, "che cosa c’è di «grande» e di «anticiclico» in questa manovra? Ben poco" concludono Alesina e Giavazzi.

 

Tralasciando il merito della questione e l'ampio dibattito attorno all'eterna dicotomia tra spesa pubblica ed "austerità espansiva" (di cui i due economisti sono stati primi fautori, a dispetto di recenti parziali marce indietro), appare utile evidenziare le ragioni per le quali, come scrivono i due senza tanti giri di parole, una legge partita con buone intenzioni si sia trasformata in "una manovra irrilevante per la crescita". "Il problema è che l’impegno di Renzi è durato lo spazio di un mattino" − attaccano Alesina e Giavazzi. "Approvata la legge, e difesala a Bruxelles, il premier, anziché seguirla passo passo, se ne è disinteressato e si è occupato d’altro: di legge elettorale e di riforme istituzionali".

 

La critica, ospitata da un Corriere della Sera sempre più scettico sul premier (pur avendo ampiamente partecipato inizialmente alla costruzione di quel clima di conciliazione nazionale simil-democristiana fondato su una celebrazione acritica dell'audace ex sindaco fiorentino), coglie un punto più volte sottolineato qui su Agenzia Radicale. La ragione principale per la quale a distanza di ben nove mesi dalla sua nomina a presidente del Consiglio Renzi non sia stato in grado di realizzare riforme sostanziali per lo sblocco del Paese, risiede proprio nella predisposizione del segretario Pd a concentrare le attenzioni solo sulla fase propagandistica delle politiche e non su quella della loro effettiva realizzazione ed implementazione.

 

A dispetto dei proclami sulla rapidità della propria azione di governo, infatti, l'intenzione di Renzi pare sia soprattutto quella, antica e deleteria, di barcamenarsi, aspettando magari l'avvento naturale di nuove elezioni senza dover indossare le vesti di guastatore della festa anti-patriottico, anche se gli ultimi sondaggi, che danno in calo il Pd dopo il risultato del voto europeo, potrebbero indurlo ad un voto anticipato al più presto.

 

L'ultima tappa in ordine cronologico di questa maratona inconcludente di annunci è costituita dal modo con cui il governo sta mostrando di voler affrontare la questione della legge elettorale. Da mesi Renzi dichiara di voler approvarla entro la fine dell'anno, ma solo ora il ministero per le riforme presieduto da Maria Elena Boschi ha deciso di commissionare uno studio comparato sull’ordinamento di alcuni paesi europei ed extra-europei in materia di sistema elettorale, forma di governo e forma di stato, con scadenza 31 ottobre 2015.

 

Se la tabella di marcia dipendesse da questa scadenza, in altre parole, per il varo di una nuova legge elettorale bisognerà attendere molto più tempo di quello prospettato, in maniera superficiale, dal premier (sarebbe un po' come fare un esame senza prima aver studiato, notano in tanti). Fino ad allora la riforma rappresenterebbe, in linea con la classica strategia renziana, un mero annuncio.

 

 


Aggiungi commento