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18/11/24 ore

Ancora Netanyahu, aspettiamo e vediamo


  • Silvio Pergameno

Le elezioni in Israele hanno ancora una volta registrato la vittoria del Likud conservatore nonostante il fatto che questo partito non partisse in vantaggio: gravava infatti, e grava sul lavoro che attende Netanyahu, una situazione economica, caratterizzata da alto costo della vita e dal caro affitti delle abitazioni. Il che testimonia l’importanza nell’opinione pubblica prevalente del problema della sicurezza, sul quale ha fortemente insistito il premier uscente nella sua campagna elettorale, in particolare con la visita negli Stati Uniti,quando, parlando al Congresso, ha assunto posizioni fortemente contrarie a quelle del Presidente Obama (in Israele si temono molto gli accordi Washington-Teheran sul nucleare iraniano).

 

Hanno perciò destato sorpresa due fatti (di significato concorrente) accaduti all’indomani della consultazione elettorale, e cioè le congratulazioni di Obama al vincitore e le dichiarazioni con le quali quest’ultimo ha parlato subito dopo la sua vittoria: esaltazione del legame che unisce Israele alla’America e, più ancora, l’apertura alla proposta dei “due stati”, per risolvere la questione palestinese, che era da lui sempre stata profondamente avversata fino al giorno prima.

 

Un altro fatto di rilievo in queste elezioni è poi stata la non trascurabile affermazione dei gruppi (presentatisi per la prima volta uniti) nei quali si esprimono i cittadini arabi che vivono e lavorano in Israele, oltre un milione e seicentomila, che rappresentano il 20,5% della popolazione totale dello stato (otto milioni scarsi). Un’altra prova che si può essere insieme musulmani e democratici (si può anche notare che l’arabo è la seconda lingua ufficiale di Israele).

 

Quanto alle prospettive di un’effettiva creazione dello stato palestinese, esse appaiono comunque parecchio fantomatiche e non sembra che Netanyahu sia in grado di tirar fuori il coniglio dal cappello, tante e tanto gravi sono le questioni irrisolte, che ne condizionano la venuta in essere. Dalla parte di Israele c’è la questione degli insediamenti delle colonie in Cisgiordania, sulla quale anche i laburisti non sembra abbiano idee chiare.

 

I laburisti sono certamente favorevoli alla nascita dello stato palestinese, ma su questo problema Harzog ammette che l’obbiettivo va perseguito anche se si dovessero cedere delle colone, che è una posizione abbastanza generica. Non si può poi ignorare soprattutto il fatto che a Gaza domina Hamas, che più che un ceto politico di governo rappresenta un movimento estremistico, che esalta le imprese terroristiche. Ed è proprio da questa constatazione che nascono le maggiori perplessità. Israele, infatti, non ha mai coltivato l’obbiettivo di promuovere, con tutte le accortezze del caso, la formazione di una classe politica aperta alla prospettiva di una convivenza; e che i palestinesi possano convivere con Israele lo dimostra proprio quanto si osservava poche righe più indietro.

 

Ma a Israele è mancato anche il presupposto base che avrebbe potuto garantire il successo di una simile direttiva, e cioè una diversa politica dei paesi ex coloniali europei proprio sul complessivo problema della decolonizzazione, cioè dei rapporti con i nuovi stati che venivano nascendo, che sono invece rimasti incastrati nei limiti del passato, con tutte le conseguenze che sono sotto i nostri occhi.

 

A questo punto appare azzardato formulare previsioni su cosa farà adesso Netanyahu; non resta che un prudente wait and see.

 

 


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