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19/11/24 ore

Teheran a Losanna


  • Silvio Pergameno

L’accordo di massima raggiunto a Losanna, fondato su un rinvio di dieci/quindici anni del programma nucleare iraniano versus una progressiva attenuazione e fino alla soppressione delle sanzioni economiche (che hanno ridotto l’Iran in una condizione economica molto difficile e connotata da pesanti conseguenze sulla popolazione) ha dato – ovviamente - luogo a reazioni disparate, che però, per lo più, sembrano molto legate a orientamenti e posizioni già ben note.

 

Nessuno infatti poteva ragionevolmente aspettarsi il plauso, ad esempio, del premier israeliano Netaniahu o un atteggiamento perplesso da parte di Federica Mogherini

 

In realtà, le perplessità e le critiche che vengono manifestate  non hanno per oggetto tanto i termini dell’ accordo (che, per ora, ha natura di massima con proroga delle trattative fino a giugno) quanto i mezzi per assicurare il rispetto delle clausole. Nei prossimi quindici anni sarà ridotta del 66% la produzione da parte dell’Iran dell’uranio non arricchito oltre il 3,67% e quindi non utile per scopi militari e quello già prodotto sarà ridotto da 10 tonnellate a 300 chili e non saranno realizzate strutture per l’arricchimento dell’uranio. Il controllo del rispetto delle clausole sarà affidato all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, organismo dell’O.N.U.

 

Si tratterà di un controllo così penetrante da non consentire violazioni delle regole del gioco?

 

Gli Stati Uniti, in verità, sembra tengano presente il piano militare, come risulta dall’intervista rilasciata a Repubblica di venerdì scorso dall’Ammiraglio James Stavridis, comandante supremo della Nato fino a due anni fa e dalle notizie fornite dal Corriere del giorno di Pasqua, che informa circa il perfezionamento attuato delle bombe in profondità, capaci di distruggere impianti sotterranei e che potrebbero essere usate anche subito ove le trattative ancora in corso non dovessero giungere a buon fine.

 

Tuttavia per valutare meglio il senso e la portata del trattato sembra opportuno spostare il tiro, inquadrando la vicenda a un livello più ampio. Il trattato infatti va letto alla luce degli effetti che è destinato sicuramente a produrre.

 

L’avvio della riduzione delle sanzioni economiche è un fatto di grande rilevanza per l’Iran e non è un caso che all’annuncio della positiva conclusione della fase delle trattative in corso migliaia di cittadini iraniani si siano riversati per le strade per manifestare la loro soddisfazione: significa che dopo anni e anni di restrizioni sempre più pesanti si apre un processo di progressivo miglioramento del tenore di vita, un processo destinato a essere interrotto e seguito da una temibilissima inversione di marcia ove i patti non venissero rispettati.

 

Nel quadro dei rapporti internazionali poi il trattato dovrebbe produrre un allentamento della tensione che domina la situazione del Medio Oriente e che l’Iran consegnato al nazionalismo esagitato di Mahmud Ahmadinejad e ostinato a munirsi di un armamento nucleare ha contribuito a scatenare. E’ vero che tra le convenzioni del trattato non figura una clausola contenente una definitiva rinuncia all’atomica, ma una moratoria di dieci – quindici anni rappresenta un periodo di tempo molto notevole, un tempo che dovrà essere impiegato a porre in essere un’attiva politica di pace e di miglioramento dei rapporti tra i vari paesi interessati e con il resto del mondo.

 

La prospettiva di un’Iran nucleare, invece, non può che sollecitare i principali paesi dell’area – Arabia Saudita, Turchia, Egitto – a seguire la stessa strada, nonostante i costi iperbolici e i rischi che sono in gioco, mentre la stipula di un trattato che, comunque la si pensi, rinvia per un lungo periodo di tempo la minaccia nucleare di Teheran, bene o male costretta a fare un passo indietro, apre sicuramente un orizzonte opposto. E questa ci sembra la miglior garanzia per il rispetto dei patti.

 

 


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