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19/11/24 ore

I radicali, la lotta politica e le istituzioni


  • Silvio Pergameno

L’intervista sull’ultimo libro di Giuseppe Rippa “Alle frontiere della libertà”, rilasciata a questa Agenzia da Angiolo Bandinelli, figura storica – ma non meno attuale – del movimento radicale e del partito radicale, induce necessariamente riprendere il discorso sul complesso quadro della società italiana nel suo rapporto con la politica. Bandinelli ritiene che “Alle frontiere della, libertà” sia un ottimo libro, veramente rappresentativo del significato della vicenda radicale e ritiene anche di particolare rilievo la sottolineatura data dall’autore a un tratto caratteristico del fare politica dei radicali: il tenere fermo in ogni iniziativa di lotta e di azione dal basso un costante riferimento istituzionale: i radicali se un lato si sono sempre battuti per ottenere una legge: sull’aborto, sul divorzio, sull’obiezione di coscienza, sulla responsabilità civile dei magistrati, in tutte le battaglie per i diritti civili… dall’altro hanno sempre richiamato governanti e parlamentari, partiti e classe dirigente al rispetto della legge, delle leggi che loro stessi si sono date.

 

La mera protesta priva di ancoraggio alle istituzioni è inevitabilmente destinata all’insuccesso e al facile riassorbimento da parte delle forze politiche ben strutturate in partiti, come è regolarmente accaduto nel corso della storia della nostra Repubblica, dall’ “Uomo qualunque” di Guglielmo Giannini al Movimento studentesco del Sessantotto e come sta accadendo oggi con Grillo e con Salvini, pomposamente gonfiati dall’informazione di massa e rapidamente poi ignorati quando non servono più.

 

Questa protesta si rivela cioè funzionale proprio ai percorsi dell’avversario che si propone di combattere, perchè non dà vita a un soggetto politico che si faccia portatore di un preciso e specifico cambiamento, consolidato nel diritto, nelle regole del sociale e dell’operare degli organismi pubblici; una conquista stabilizzata e istituzionalizzata che rappresenta un passo avanti. E si rivela contemporaneamente debole, per battaglie di lunga durata, contro avversari bene attrezzati e in possesso di tutti i mezzi e di tutti i poteri.

 

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La storia del radicalismo italiano nel secondo dopoguerra muove da una preistoria rappresentata nel dopoguerra dal coagularsi nell’Università di Roma intorno alla figura di Marco Pannella di un gruppo studentesco che prese corpo a livello nazionale nell’Unione Goliardica Italiana (UGI), parte molto attiva nelle rappresentanze universitarie studentesche, caratterizzata dalla contrapposizione delle altre varie formazioni, espressioni dei movimenti giovanili dei partiti. Una contrapposizione sostenuta dalla volontà di emancipare la questione universitaria e il ruolo degli studenti nell’università dalla sudditanza ai partiti politici, che ne facevano una cinghia di trasmissione delle loro finalità di partito e delle loro ideologie.

 

Nelle università i partiti avevano una presenza limitata, esistevano vecchie tradizioni studentesche (alla Sapienza di Roma il Pontificatus con le carnascialesche Feste della Matricola) ed esisteva la gran massa degli iscritti che aspiravano soltanto al titolo di studio: un mondo sostanzialmente qualunquistico, prepolitico, apolitico nel quale era possibile trovare spazi in nome della migliore funzionalità dell’istituzione concepita come servizio, dei principi di libertà di insegnamento e di apprendimento, dell’opposizione alla natura intrusiva della politica politicante. Una battaglia quindi nella sostanza tutt’altro che antipolitica e al cui esito potevano concorrere soggetti critici dell’università così come era, insoddisfatti, ribelli al limite….

 

Facciamo un passo avanti, arriviamo alla seconda metà degli anni sessanta, alla grande battaglia per il riconoscimento del divorzio. Nettamente contraria la DC e tutto il mondo clericale, favorevole in linea di principio il PCI, ma nettamente contrario ad affrontare il problema per via del famoso dialogo con i cattolici, succubi i socialisti (che avevano anche presentato in parlamento un disegno di legge per il,divorzio) e i partiti cosiddetti minori. Ma c’era nel paese la gran massa qualunquistica dei separati in diritto o soltanto di fatto, milioni di cittadini e familiari indirettamente interessati da rendere sostenitori di una battaglia politica (oltretutto intessuta di rilevanti implicazioni).

 

E oggi? Siamo sempre al punto di partenza, nonostante le evoluzioni registrate dal nostro paese. Ci troviamo ancora una volta di fronte a milioni di leghisti e pentastellati… che protestano e si ribellano e cavalcano genericamente tutte le battaglie,e finiscono sensibilizzati agli adescamenti del lepenismo o fiduciosi di poter grattare qualche cosa recandosi a Mosca, ma privi di un soggetto politico dotato di buona consapevolezza storica e di adeguata capacità politica; privi persino della percezione della necessità di un soggetto di grandi dimensioni per poter esercitare una parte attiva sulla scena mondiale, che è quella dove oggi si fa politica.

 

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Abbiamo accennato nelle prime righe di questo scritto all’alternativa: partito radicale o movimento radicale? La discussione al riguardo è sempre stata presente nel partito (partito con la minuscola, proprio come un simbolo e se volete una…provocazione). Partito nuovo, partito/movimento, partito al servizio del movimento o dei movimenti e via dicendo; partito senza tessere e senza commissioni di disciplina, separato dagli eletti, che non lo rappresentano a nessun livello… in realtà il leader di questo partito alla forma-partito non ha mai creduto,confidando sul fatto che il partito stava in quello che faceva e timoroso delle logiche partitiche…

 

Se ne discusse a lungo, quando nel 1966/67 il gruppo di ex UGI, di già iscritti al Partito Radicale (quello con la lettera maiuscola), di già usciti partito Liberale, qualcuno di Lotta Continua ecc. ecc. decisero di darsi uno statuto nuovo, nel quale furono consacrati i principi e si tentò una nuova formula organizzativo - operativa; ma forse non si precisò, non si esplicitò uno dei compiti della nuova formazione, che invece meritava un’attenzione specifica: quello della formazione di una classe dirigente, ristretta se si vuole, ma consapevole, preparata, capace di resistere in una situazione come quella italiana,con scarse tradizioni liberali e dominata da due grossi partiti sostanzialmente coalizzati nella battaglia antiliberale.

 

Angiolo Bandinelli ha ricordato nell’intervista che – proprio il giorno dopo la vittoria del “no” nel referendum clericale per l’abrogazione divorzio – Berlinguer scriveva sull’Unità “adesso si riprende il discorso”…. già, il solito discorso. Lo si è tentato, ma non è successo. Le conseguenze stanno davanti a noi, oggi.

 

 


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