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18/11/24 ore

UE, I punti deboli dell’architettura europea…


  • Silvio Pergameno

I due ministri dell’Economia di Francia e Germania, Emmanuel Macron (Parti Socialiste) e Sigmar Gabriel (Sozialistische Partei Deutschland), hanno congiuntamente redatto un lungo intervento sull’integrazione europea, pubblicato lo scorso giovedì su la Repubblica, Le Monde, Die Welt, The Guardian ecc.; hanno fatto le cose in grande, ma proprio dalle cose che scrivono si capisce perché il processo di integrazione europea stenta tanto ad andare avanti.

 

I due ministri sono ben consapevoli delle deficienze che affliggono la costruzione della moneta unica, con le conseguenze che si è interrotta la convergenza economica dei paesi europei e si sono prodotti fenomeni di euroscetticismo e tensioni fra gli stati membri, ma la loro “medicina” ignora completamente il fatto che il problema è politico e sta nella resistenza che gli Stati sempre oppongono ad ogni benché minima cessione di sovranità.

 

Essi ricordano che l’Euro nacque per un accordo, alla fine degli anni Ottanta, fra Francia e Germania, i due paesi più importanti, che però avevano obbiettivi diversi: la prima pensava alla riunificazione nazionale e voleva superare il sistema monetario europeo (S.M.E.), ormai inefficiente, con un meccanismo stabile modello Bundesbank; la seconda voleva ancorare la Germania all’Europa e dare all’Europa più strumenti per imbrigliare la globalizzazione. Non si trattava cioè di far compiere un passo avanti sulla strada di una maggiore integrazione.

 

I due ministri propongono poi la creazione di un bilancio europeo, vincolando gli Stati all’obbligo di rispettarne le norme che lo disciplinano (per la stabilizzazione automatica e l’adattamento al ciclo economico) e introducendo una regolamentazione comune per la ristrutturazione dei debiti pubblici nazionali e confermando la necessità di attuare le riforme strutturali in materia di lavoro e di competitività delle imprese al fine di sostenere la prosperità e di accelerare la costruzione di un’Unione economica e sociale, evitando misure inutili di austerità. Bellissimo.

 

Sembra di leggere i famosi “programmi” confezionati dai partiti in occasione delle consultazioni elettorali: un mare di promesse, senza alcun accenno ai problemi politici da affrontare…. e infine i ministri ci offrono l’immancabile battuta sull’esigenza di una maggiore democrazia, ad esempio creando una “zona euro” in seno al Parlamento europeo ed incrementando nelle cittadinanze il senso di appartenenza comune, ad esempio attraverso una generalizzazione del programma “Erasmus”, per consentite a tutti i diciottenni di trascorrere sei mesi in un altro paese, con finalità di studio o di apprendistato.

 

Par di sognare: e il superamento delle tenaci resistenze degli egoismi nazionali? E la necessità di processi di ristrutturazione delle economie? E soprattutto l’inderogabile necessità di dare all’Unione una politica estera degna di questo nome e in grado di affrontare il processo di globalizzazione senza subirne i contraccolpi e senza ricorrere alle solite misure di chiusura verso l’esterno? E l’attuazione di una politica verso la Russia per modificarne la tendenza a dominare l’Europa e avviare una pacifica e proficua convivenza? E gli interventi nelle crisi del Medio oriente e del Centro e del Nord dell’Africa? E via dicendo…

 

L’Europa sembra non avere coscienza di quanto sta accadendo nel mondo, non si rende conto che sarà mangiata foglia a foglia, come già sta accadendo, che si troverà sempre più esposta ai rischi del terrorismo e all’avventurismo della speculazione finanziaria, della quale ha già subito gravi contraccolpi. L’Europa non fa nulla, perché la sovranità degli Stati membri non può essere intaccata; ma gli stati dell’Unione fanno meno di niente, perché le loro pompose sovranità nazionali non servono a niente.

 

All’interno degli Stati nazionali la reazione a questo stato di cose prende le strade pericolosissime dell’euroscetticismo, produce Podemos, 5 stelle, lepenismi e fronti nazionali, Syrize e Leghe nord… E, sopra ogni altra cosa, è sotto i nostri l’avverarsi della profezia formulata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi ancora durante l’ultimo conflitto: la democrazia non si salva negli stati nazionali europei, la democrazia non è governi incapaci ed imbelli, non è opposizioni populistiche e ribellistiche.

 

Fermiamo uno sguardo sull’Ungheria e sulla Polonia…. La Repubblica ha pubblicato il 26 dello scorso maggio un commento di Adam Michnik sulla vittoria alle presidenziali del candidato conservatore ed euroscettico Andrzej Duda. Adam Michnik lo ricordiamo, alla fine degli anni ottanta, animoso combattente con Solidarnosc e Lech Walesa per conquistare alla sua Polonia democrazia e indipendenza, dopo aver passato qualche anno nelle patrie galere per avere espresso opinioni non conformiste.

 

Il suo articolo fa oggi venire i brividi alla schiena, per il senso di morte che trasuda dalle sue parole, dalle sue righe; alla maggioranza degli elettori no basta la stabilità, la crescita economica, la democrazia, i diritti civili, la tolleranza, i media pluralistici e liberi, la Polonia indipendente in Europa e nella Nato, libera da conflitti religiosi ed etnici, il rispetto all’estero. Si teme di cambiare in peggio; non si sa cosa potrà accadere in una situazione internazionale complessa, in un contesto caratterizzato dalla politica aggressiva di Putin: la vittime ucraine sono un avvertimento terribile per la Polonia.

 

Sembra che questo sia un momento di svolta per la democrazia polacca. Michnik teme per la democrazia nel suo paese e invita il nuovo Presidente a rispettare la costituzione, a difendere i valori costitutivi dello Stato e il dovere dell’opinione pubblica consiste nel rammentarglielo e non permettere che si riaffermi il clima del sospetto e della paura.

 

 


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