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18/11/24 ore

La Coalizione vintage di Landini e quella pseudo-modernizzante di Renzi


  • Luigi O. Rintallo

Della nuova Coalizione sociale di Maurizio Landini, leader della Fiom-Cgil, il premier Renzi ha detto che al voto sarebbe "destinata alla sconfitta". Profezia tutto sommato facile quella del segretario PD, il quale tuttavia non dice come le ragioni che la sosterrebbero sono in fondo le stesse che motivano l’incaglio dell’azione politica del suo governo.

 

Quello che contraddistingue l’iniziativa di Landini è la riproposizione di una visione classista, oggi rianimata dalle conseguenze della crisi della globalizzazione ma pur sempre inadatta a dare una qualche soluzione ai problemi. A dispetto della proclamata capacità di rappresentare e tutelare gli interessi dei lavoratori, questa proposta dimostra soltanto quanto grande sia il distacco dalla loro realtà concreta.

 

Da questo punto di vista, l’enfasi ad essa attribuita dai media è la prova di come il mondo dell’informazione tenda per lo più a una rappresentazione manipolatoria e sempre funzionale a minare il formarsi di una qualche alternativa al logoro sistema di potere italiano, fondato sul controllo eterodiretto e verticistico della società.

 

Una certa sinistra attardata nella difesa oggi materialmente improponibile del salario quale "variabile indipendente" o della testarda salvaguardia della rigidità contrattuale, a tutela solo dei già garantiti e che ignora quanti non lo sono, è quanto di più utile al blocco di ogni cambiamento. E per questo Renzi ha buon gioco a sfruttare la polemica con essa per appropriarsi della qualifica di unico innovatore. Soltanto che ciò serve a mascherare il carattere fondamentalmente trasformista che lo contraddistingue, dal momento che egli svolge chiaramente un ruolo di copertura a una politica che ha lo scopo di preservare l’ordine esistente.

 

Né potrebbe essere diversamente perché, come Landini, anche Renzi è ben lontano dall’affrontare con chiarezza la "questione liberale" irrisolta della sinistra italiana. Non lo può fare perché il mondo di cui è espressione coincide con il coacervo statal-burocratico-corporativo che è la ragione stessa del blocco di ogni azione di riforma.

 

Se Landini invoca un forte intervento pubblico a sostegno della politica industriale, Renzi persegue l’occupazione delle postazioni di indirizzo dell’economia (dalle ex partecipazioni statali (Eni, Enel al credito), in nome di una logica di statalismo deteriore condannata all’insuccesso. Se i soggetti della Coalizione sociale si battono per una scuola pubblica, che nei fatti finisce per non conseguire nessuno degli obiettivi per cui serve una scuola, il governo emana una pseudo-riforma che da un lato conferma l’uso della scuola quale ammortizzatore sociale e dall’altro la ingabbia affidandone la gestione a una burocrazia non certo atta a liberarla dalle odierne ingessature.

 

E lo stesso vale per altri temi: dall’immigrazione non governata e gestita appiattendosi sulle indicazioni dettate dalla Chiesa, un’entità ispirata da criteri morali-religiosi anziché politici; oppure al fisco insaziabile, che drena risorse senza che ad esse corrispondano servizi adeguati.

 

Le due sinistre italiane – nella versione apparentemente "modernizzante" di Renzi o in quella "vintage" di Landini – confermano di essere aliene dal far propria una visione finalmente in grado di interagire con la realtà italiana. E soprattutto di risolverne i problemi più urgenti.

 

 


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