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20/12/24 ore

L’Europa a metà luglio 2015


  • Silvio Pergameno

La sconfitta di Tsipras domenica scorsa, che si è visto costretto ad accettare le condizioni  “europee” per cercare di sopravvivere, rinnegando il “no” del referendum greco del 5 luglio , è un episodio sul quale è necessario riflettere.

 

Gli europei, visto che - dopo che alla Grecia erano stati concessi negli anni scorsi 210 miliardi di prestiti - nessuna riforma proficua era stata messa in atto, hanno stabilito loro quali riforme la Grecia doveva adottare se voleva un nuovo prestito (83 miliardi), dando tre giorni ad Atene per approvarle; altrimenti i cordoni della borsa rimarranno tirati. E salta subito nell’occhio come alcune di queste riforme (pensionamenti a 67 anni, IVA al 23%, tanto per citare le più vistose) anche noi italiani le abbiamo già adottate.

 

E così Tsipras alla fine è finito sconfitto e forse lo sapeva fin dall’inizio che la partita non poteva che chiudersi in questo modo; il suo partito si è diviso e il premier greco forse ha da temere anche la fine del suo governo. Ma proprio Tsipras ha sottolineato la necessità di restare nell’euro. Fuori dall’euro infatti la posizione della Grecia sarebbe molto più difficile, perché i suoi debiti resterebbero intatti, i creditori si farebbero più esigenti e non ci sarebbe alcuna copertura, per quanto quella attuale possa essere pesante.

 

Pesante al punto che la Grecia può anche non farcela, come teme il Fondo Monetario Internazionale,   contrario alla linea “Merkel” e favorevole a una riduzione del debito greco. In fondo un taglio ripartito fra tutti i creditori diventerebbe un onere sopportabile e quindi preferibile alle conseguenze di un eventuale fallimento.

 

E anche se non si può trascurare il fatto che diversi altri paesi (Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia) si sono sobbarcati a sforzi non indifferenti per risanare i propri conti e non avrebbero certo visto con entusiasmo un taglio del debito greco (che poi poteva costituire un precedente rischioso) bisogna mettere sull’altro piatto della bilancia il fatto che  un trattamento meno duro avrebbe potuto aprire un percorso meno difficile per il debitore e quindi costituire un elemento di maggiore tranquillità per tutti.

 

Difficile prevedere adesso cosa potrà succedere; ma il fatto che resta consolidato è che la Germania ha imposto la sua linea, consacrando una politica ispirata a una chiara forma autoritarismo. Solo che per bocca della Germania è stata l’Europa a parlare: ecco perché il problema si pone in termini di Europa sì, Europa no. Senza le istituzioni europee, senza la moneta comune la Germania non avrebbe potuto costringere la Grecia ad accettare un programma di riforme e la Grecia non avrebbe, bene o male, potuto ottenere un prestito, cui affidare almeno una speranza.

 

In altri termini, non fare niente era effettivamente impossibile, ma per fare qualcosa bisognava farlo comunque al livello europeo. E questo significa che si torna sempre al solito problema della carenza di poteri di decisione al livello delle istituzioni europee, perché i poteri di decisione sono giuridicamente nelle mani degli stati nazionali, E allora prevalgono i poteri di fatto. 

 

Il problema in altri termini resta sempre la Francia, che avrebbe preferito una linea più morbida nei confronti della Grecia, ma anche in questa circostanza è rimasta sconfitta, perché la Francia non voleva un provvedimento europeo efficace sui poteri nazionali, mentre invece questo provvedimento c’è stato. Ed è venuto in essere per un colpo di forza. Quanto è accaduto in questi giorni non è un accadimento estemporaneo e imprevedibile: è la logica (e questa volta assai vistosa) conseguenza di tutta la ormai lunga storia dell’integrazione europea, che si blocca sempre davanti allo stesso problema: sono ormai decenni e decenni di dubbi e di tergiversazioni ed è chiaro che così non si può andare avanti.

 

I movimenti populisti che si agitano in Europa trarranno vantaggio dalla vicenda greca? Difficile dirlo, anche se il fatto che proprio Tsipras abbia scelto di voler restare in Europa, giudicando un pericolo mortale il ritorno alla dracma, la dice lunga sulla credibilità di quanti si agitano per il pieno ritorno alla dimensione prettamente nazionale e alla moneta prettamente nazionale.

 

Ma le forze che si richiamano alla tradizione della democrazia parlamentare debbono decidersi ad affrontare direttamente il discorso della federazione europea, che non mortifica affatto le identità nazionali, ma anzi le salva da un processo di decadenza, già largamente in atto.

 

 


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