Mons. Nunzio Galantino, segretario della Commissione Episcopale Italiana, ha da qualche settimana conquistato una insolita visibilità mediatica. Non solo per lo stile fin troppo brusco, ma anche perché obiettivamente le sue dichiarazioni sembrano assecondare i ritmi e le voglie del sistema informativo impostosi ai nostri giorni che ha fatto dell’anti-politica il binario privilegiato sul quale far correre le discussioni pubbliche.
Le cronache e i comportamenti di tanti personaggi sulla scena politica possono senz’altro giustificare la reprimenda di Galantino, consacrato vescovo tre anni fa nella cattedrale della sua Cerignola, ma rappresentano anche un modo per oscurare il fatto che soltanto nella politica risiede la possibilità di garantire il nutrimento della democrazia. Fuori dalla politica, c’è solo lo spazio per le tentazioni autoritarie o per il prevalere del dominio delle oligarchie, che vestano i panni delle “avanguardie” investite da chissà chi di una missione salvifica o quelli delle élites attente ai propri interessi tutelati proprio attraverso la distrazione verso le mediocri magagne del “palazzo”.
Una lettura politica delle più recenti dichiarazioni del segretario CEI confermano la sua aderenza a quel partito trasversale che definisce l’assetto di un blocco sociale, contraddistinto dalla logica elitaria con cui detiene il potere. A giudizio del monsignore "il popolo da solo sbanda”, specie se si lascia irretire dai capi populisti. Se ne deduce che il popolo dovrebbe essere guidato dai “virtuosi”, forse addirittura sarebbe meglio non si esprimesse proprio visto che è composto da masse esposte alla manipolazione.
Il paradosso consiste poi nell’investitura di Matteo Salvini quale suo obiettivo privilegiato nella polemica sull’immigrazione. Senza entrare nel merito di una posizione che – come osservato da Piero Ostellino – ignora l’ “etica della responsabilità” propria di uno Stato nel fronteggiare questo tipo di emergenze, è evidente che l’accoglienza a prescindere fornisce un formidabile assist a Salvini stesso, che può così dar fondo alla demagogia e appropriarsi di uno spazio politicamente illimitato, tanto da essere contemporaneamente alfiere della laicità dello Stato e difensore degli interessi nazionali.
A ben vedere, dietro gli attriti e i contrasti, si profila tra il vescovo e il leader leghista quasi un’alleanza di fatto, con una divisione dei ruoli in commedia in cui a farne le spese è la possibilità di una dialettica democratica fondata sui principi di una società libera e aperta, che abbia al centro la persona e i suoi diritti.
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