Barack Obama interviene a Sirte con l’”USA Air Force”, il fortilizio dell’Isis che la Libia del governo Serrai non riesce a smantellare (pur essendo contrario alla presenza di truppe di terra “straniere”). Questi fatti debbono essere debitamente interpretati. Partendo da una riflessione sui motivi per i quali la principale preoccupazione del Presidente degli Stati Uniti negli anni passati è stata quella di sganciarsi, per quanto possibile dal Medio Oriente, mentre poi è stato costretto a trovarsi di nuovo coinvolto da quelle parti. Ed evidentemente sempre più coinvolto, come i fatti vengono dimostrando.
Obama, evidentemente, si è fatto carico delle tendenze isolazioniste e protezioniste che con la fine della guerra fredda hanno ripreso vigore negli Stati Uniti, tendenze delle quali Trump di presenta come la punta avanzata, pare non condivisa nemmeno da tutto il partito repubblicano, ma probabilmente aprendo le speranze di quella sinistra europea e di quella destra europea che hanno sempre predicato contro l’”imperialismo americano”, del quale il Presidente Bush junior è stato la più recente espressione. Bush infatti le mani in pasta in Iraq ce le voleva tenere, perché, finita la guerra, aveva lasciato in Iraq il suo esercito con un generale che condivideva la sua politica, proprio per evitare che la cacciata di Saddam Hussein si risolvesse nella vendetta degli sciiti contro i sunniti, come è successo con il capo del governo del premier Nouri al Maliki.
E con la conseguenza che l’avvento dello Stato islamico è stato sostenuto dai sunniti iracheni (non so con quanta soddisfazione … ).
Naturalmente i tentennamenti di Obama hanno subito lasciato spazio a Putin, il quale non ha perso l’occasione, mentre Erdogan stringe i freni in Turchia, mentre in Europa guadagnano spazi Orbàn in Ungheria, Hofer in Austria, Le Pen in Francia… e mentre l’Inghilterra lascia l’Unione Europea e mentre anche in Germania crescono movimenti contrari a proseguire nell’integrazione del continente. Sono sintomi preoccupanti, che cominciano puntualmente e ricopiare, in termini attuali, la storia dell’Europa del primo dopoguerra.
Ci chiediamo o non ci chiediamo cosa ce ne faremmo di un Trump presidente degli Stati Uniti? E come potremmo avviare un colloquio con Putin, mentre l’America sarebbe poco interessata alle vicende europee? Guardiamo come sta finendo la vicenda dell’Ucraina. Putin si è preso un pezzo di questo stato e piano piano sta digerendo il lauto pranzo di pochi anni fa, mentre poi si conquista gli allori nella lotta contro lo Stato Islamico, oltre tutto cercando di imporre di fatto la restaurazione di Bashar El Assad, piaccia o non piaccia agli occidentali.
Come spesso abbiamo scritto su “Agenzia Radicale”, per l’Europa sarebbe indispensabile avviare un dialogo con Putin, ma nelle condizioni attuali è presumibile che Putin accetterebbe questa prospettiva chiedendo soltanto di lasciare a lui la scelta della sede cui invitare i partecipanti agli incontri: Canossa, ovviamente.
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