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13/11/24 ore

Lavoro, la filosofia della pancia vuota


  • Silvio Pergameno

“Filosofia della pancia vuota”: non vuol esser il tentativo di scherzare su uno su uno dei drammi sociali più preoccupanti della nostra società italiana di questo tempo, un dramma – la mancanza del lavoro - che investe proprio le generazioni più giovani, cui toglie la speranza del domani e declassa un’intera generazione di cittadini, ma una polemica nei confronti di uno stato sociale che a furia di fare del lavoro di chi lavora la misura di tutti i valori rischia di dimenticare che la crescita economica non è un bene naturale assicurato per sempre, ma un traguardo che può anche essere difficile da raggiungere e una polemica nei confronti di un modo di ragionare che finisce per chiudere la porta in faccia ai profughi di guerra  con la motivazione di non poter assicurare loro le tre stanze con accessori e un posto di lavoro fisso.

 

Chiudiamo questa premessa e veniamo ai fatti. È oggi in fase di verifica un fatto nuovo, molto significativo della nostra condizione sociale (e politica): tanti giovani per poter avere un posto di lavoro, e senza andar tanto per il sottile, rinuncerebbero a ferie, tredicesime, assistenza sanitaria e a tante altre recenti  conquiste. Con riferimento a recenti sondaggi curati dalle ACLI e dalla CISL se ne occupa, ad esempio, il Corriere del 4 corrente, in un intervento del vicedirettore Di Vico, che auspica approfondimenti , rileva gli scarsi esiti del  jobs act  (un provvedimento legislativo  che – come è noto – è stato concepito come strumento di sistemazione  dei lavoratori “precari”) e mette in guardia verso il rischio che i politici si innamorino più dei redditi bassi che di quelli inesistenti.

 

Il problema, ad avviso di chi scrive, non è forse antropologico né sociologico, ma soltanto di una psicologia molto elementare: un giovane disoccupato o, piuttosto, mai occupato, che vede gli anni passare e lui che resta sempre a carico di genitori sempre più anziani è facilmente tentato a non andare tanto per il sottile…..

 

Un comportamento tutt’altro che incomprensibile: proviamo a metterci nei suoi panni…. senza mancare di considerare che questa condizione, per di più assai diffusa, sta diventando una delle testimonianze più scottanti della crisi del nostro stato sociale.

 

E sembra anche opportuno allargare il discorso, partendo da una considerazione che solo in apparenza sembra venire in contraddizione con quanto innanzi ricordato: il fatto, cioè, che il tenore di vita nel mondo negli ultimi tempi è migliorato e centinaia di milioni di individui sono usciti dalla stato di povertà.

 

In realtà i due fatti non si contraddicono e sono anzi il dritto e il rovescio di una stessa medaglia.

 

La povertà nel mondo è diminuita in ragione dei progressi compiuti da tanti paesi del terzo mondo, entrati nel mercato mondiale grazie alla concorrenza di beni prodotti a bassissimo costo della manodopera, operante in sistemi che poco o niente conoscono le provvidenze dello stato sociale. E gli acquirenti di questi prodotti a buon mercato (certo, ma pagati con i sacrifici della componente produttiva rappresentata dal lavoro) siamo noi, togliendo poi lavoro a nostri concittadini. È una considerazione brutale; è anche parziale, ma non priva di consistenza.

 

E in fondo, allora, quando si pensa di investire ad esempio in Africa per contenere il flusso dei migranti, e cioè con ragioni molto rilevanti, non si pensa però che con una tale politica si alimenta il flusso dei beni a bassi costi di produzione e a bassi prezzi  di vendita. Solo che in questa situazione piena di contraddizioni e con scarsissime prospettive di venirne in capo, meraviglia poi che gli europei storcano tanto la bocca quando si parla di cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico in materia di commercio e investimenti,  e forse con mire protezionistiche non encomiabili.

 

Mentre poi indirettamente si rafforza anche le posizioni del Vladimiro del nordest eurasiatico, che con noi farà più affari (e non solo affari, lui che ha in mano il coltello dalla parte del manico), che noi (con poche carte da giocare) con lui (che di carte, invece, ne ha tante).

 

 


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