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18/11/24 ore

Scuola, Fedeli a modelli fuori dalla realtà


  • Luigi O. Rintallo

Da convinti assertori dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, non ci siamo mai accodati ai commenti ironici sul ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, perché priva di diploma. Semmai a preoccupare era la sua provenienza da un sindacato, che da tempo esercita un controllo pernicioso sulla vita scolastica comprovata dalla gestione degli istituti affidati in maggioranza a dirigenti ex sindacalisti, piuttosto che ex docenti.

 

La nomina di Valeria Fedeli, da questo punto di vista, costituisce il coronamento di questo dominio che ha rivelato nel tempo di essere quanto mai tetragono e coriaceo, ma soprattutto testardamente legato ad alcune idee forza che fanno a pugni con la realtà dei fatti.

 

La prima di esse consiste nel difendere tenacemente un modello educativo che si è andato affermando all’incirca trent’anni fa e che è assolutamente in contrasto con le esigenze attuali. E questo nonostante esista da tempo un’ampia pubblicistica che ne contesta i fondamenti: basti pensare ai saggi della inglese Daisy Christodoulou, dove si dimostra quanto inefficace sia stato aver preteso di soprassedere dalle conoscenze dei fatti, per privilegiare attività o progetti, per lo più volti all’espressione della spontaneità; oppure come sia stato un errore confidare troppo nelle potenzialità dell’informatica e del digitale a scopo didattico. Le linee guida ministeriali restano attardate e abbarbicate a quelli che, non a caso, possono definirsi miti pedagogici.

 

In secondo luogo, emerge con insistenza la preoccupazione di uniformarsi agli standard europei, rincorrendo un modello di scuola che presenta invece più di una criticità. Per farlo non si esita a praticare un comportamento ambiguo, più tipico dei magliari che non di coloro che hanno a cuore davvero la formazione dei cittadini. Semplificare oltre misura i percorsi scolastici, garantendo il cosiddetto “successo formativo” (per il volgo: il 6 politico) a scapito dei meriti effettivi, è il modo in cui va perseguendosi l’auspicato aumento dei diplomati così da porsi al livello degli altri paesi. Fra l’altro, andrebbe precisato che altrove sono considerati diplomi anche i titoli rilasciati dalle scuole di mestiere, per cui il confronto richiederebbe di essere meglio ponderato.

 

Infine, occorre soffermarsi su altri aspetti che ricorrono frequentemente nel “martellamento” mediatico di Viale Trastevere. Davvero si crede che elevare l’obbligo scolastico sia un criterio di evoluzione e crescita sociale? O non servirebbero piuttosto un ampliamento delle materie opzionali e l’istituzione delle classi per livello di apprendimento nelle varie discipline?

 

In questa estate il ministro Valeria Fedeli non si è risparmiata nell’intervenire sui media, lanciando proposte quanto meno estemporanee: dalla riduzione a quattro anni delle medie superiori al rilancio dei cicli scolastici, così come li aveva immaginati la riforma di Giovanni Berlinguer (il primo ciclo di sette e il secondo di cinque, comprensivo dell’ultimo delle attuali medie e solo quattro delle superiori). Sempre si percepiva, tuttavia, una superficialità di approccio o tutt’al più una strumentalità, tesa a celare obiettivi di altra natura. La conferma che al ministero di Viale Trastevere sia stata collocata una persona, per dirla in inglese, unfit sia alla funzione che ai reali bisogni del sistema di istruzione.

 

 


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