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23/11/24 ore

Davigo e il ruolo della magistraura


  • Luigi O. Rintallo

È stato facile a Piercamillo Davigo tacitare quanti lo avevano criticato sia per i suoi interventi nei talk show, sia riguardo ai suoi presunti abboccamenti politici col Movimento 5 Stelle che lo avrebbero visto indossare i panni del suggeritore di emendamenti alla legge elettorale ad personam.

 

Gli è bastato querelare le testate che ne avevano parlato nei loro articoli, così da soddisfare la richiesta di smentita del collega Claudio Galoppi che, sul «Foglio», si era detto preoccupato per il rischio di “contiguità politica” da parte di una toga in servizio, potenziale causa di discredito per tutta la magistratura.

 

Contrariamente a quanti hanno polemizzato con l’ex presidente dell’ANM, crediamo tuttavia che il problema che si manifesta attraverso le sue esternazioni non si risolva mettendo dei limiti alla partecipazione nei dibattiti pubblici o chiedendo di ritrarsi dall’agire politicamente. Credere (e farlo credere) che un magistrato non si lasci influenzare dalle sue opinioni politiche, significa semplicemente diffondere illusioni e di conseguenza trovarsi spiazzati rispetto ai dati di fatto.

 

È la natura della corporazione giudiziaria in Italia che dovrebbe essere oggetto di preoccupazione. La sua immutabilità rispetto al tempo, il fatto che dal reclutamento al modo di interpretare il proprio ruolo poco sia cambiato rispetto a un secolo fa, a dispetto della crescita enorme del proprio apparato normativo e dell’area di intervento, sono fattori che caricano i magistrati di una forza abnorme rispetto agli altri soggetti politici e sociali.

 

Diventa allora fuorviante “attaccare” Davigo per i suoi giudizi sui politici o il suo calvinismo giustizialista. Anche perché significa alzargli la palla, cosicché possa ancora una volta fare la parte di combattere la giusta battaglia contro la corruzione.

 

La vera debolezza di Davigo sta invece nella sua pretesa di esonerare la magistratura da ogni responsabilità, nel non voler ammettere che esiste un drammatico deficit professionale al suo interno, che è andata diffondendosi nei tribunali una Weltanschauung che non risponde più a criteri di buon senso ma soltanto all’opportunismo di visibilità e potere.

 

È tutto questo che determina lo iato con gran parte dei cittadini, che sentono come i magistrati siano, in molti casi, venuti meno al loro ruolo precipuo di tutelare dalle prepotenze e dalle violenze, preferendo giocare un’altra partita il cui esito ultimo è solo quello di favorire il declino dell’intero Paese.

 

 


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