Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Crisi migranti: Aiutiamoli a casa loro? Lo stiamo già facendo, ma male. Ripensare la Cooperazione Internazionale


  • Anna Mahjar-Barducci

Con la crisi dei migranti in Italia, sempre più politici hanno iniziato ad affermare che l'unica soluzione è "aiutarli a casa loro". L'idea di fondo è che molti "migranti economici" rimarrebbero nei loro paesi, se ci fossero le necessarie condizioni sociali. Nessuno dei politici, però, ci dice che l'Italia sta già aiutando le popolazioni dei paesi in via di sviluppo "a casa loro".

 

Secondo i dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri italiano, negli ultimi anni le risorse impegnate ed erogate per progetti umanitari e di lotta alla povertà in Africa, Asia ed America Latina sono aumentati drasticamente. Nel 2016, l'Italia ha impegnato 4.593.821.856 miliardi di euro e ha erogato 4.621.620.058 miliardi di euro (totale dell'aiuto pubblico).

 

Il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha definito la cooperazione allo sviluppo come "l'asse portante nella direttrice degli investimenti del nostro Paese". Ha poi ricordato che in passato "l'Italia investiva lo 0,14% del Pil," oggi invece "la quota degli investimenti in cooperazione è raddoppiata" e ci "dobbiamo porre l'obiettivo di uno 0,5% del Pil" (Ilsole24ore.com, 24 gennaio, 2018).

 

L'Italia però non è l'unico paese a investire in progetti di cooperazione allo sviluppo. Nel 2016, la Gran Bretagna ha contribuito agli aiuti internazionali, con un totale di £13.3 miliardi (quasi 15 miliardi di euro), esattamente il 0.7% del proprio PIL, come indicato dalle Nazioni Unite. Nello stesso anno, anche Svezia, Lussemburgo, Emirati Arabi, Turchia, Danimarca e Norvegia sono riusciti a raggiungere l'obiettivo di impegnare il 0.7% del loro PIL. Sempre nel 2016, l'amministrazione Obama aveva richiesto al Congresso americano di allocare $37.9 miliardi di dollari (circa 31 miliardi di euro con il cambio attuale) per gli aiuti esteri.

 

Tutti questi aiuti però non sembrano portare ad alcun risultato. Milioni di persone continuano a scappare ogni giorno da quei paesi, in cui "le nazioni ricche" investono in progetti di sviluppo, a causa della mancanza di lavoro, cibo, acqua, sanità. Il paradosso è nonostante gli aiuti siano aumentati, le condizioni politiche, sociali e di sicurezza dei paesi africani non sono migliorate, ma peggiorate.

 

Un esempio del fallimento della cooperazione internazionale è il Congo (ex Zaire), un paese ricco di risorse naturali. Prima, i finanziamenti esteri hanno sostenuto il governo corrotto di Mobutu Sese Seko (al potere dal 1965 al 1997). Nel 1997, una volta rimossi i residui della dittatura di Mobutu, Laurent Kabila prese il potere, ma fu poi ucciso nel 2001 dalle sue guardie del corpo. Gli è poi succeduto il figlio Joseph Kabila, sostenuto dagli aid donors, che hanno pagato l'organizzazione di due elezioni (nel 2006 e nel 2011), costate miliardi di dollari.

 


 

Le elezioni, vinte da Kabila, sono state considerate fraudolente dall'opposizione, e – di conseguenza - delle violente proteste sono scoppiate nel paese. Come scritto da Richard Dowden, africanista e giornalista inglese, sul Guardian (Theguardian.com, 27 novembre, 2012), nel momento in cui il Congo aveva maggiormente bisogno di unità, le soluzioni occidentali hanno portato soltanto a divisioni interne, dando il potere politico ed economico alle élite avide, incapaci di costruire uno Stato funzionante.

 

Un altro esempio di fallimento è la capitale della Costa D'Avorio, Abidjan, che negli anni Ottanta veniva chiamata la "Parigi dell'Africa." Oggi, Abidjan è invece una città ormai insicura, con un alto tasso di criminalità.

 

Sembra pertanto essere sempre più chiaro che la formula "aiutiamoli a casa loro" non funzioni, almeno per come è impostata adesso la cooperazione internazionale. L'intellettuale americano James Bovard già nel 1986 descriveva in un articolo, pubblicato dal think tank Cato Institute, il fallimento degli aiuti allo sviluppo (Cato.org, 31 gennaio, 1986). Le sue parole, seppur scritte più di trenta anni fa, rimangono sempre attuali.

 

Bovard scrive nell'articolo: "I programmi di aiuto allo sviluppo sono stati perpetuati e incrementati non perché hanno avuto successo, ma perché il foreign aid sembra essere ancora una buona idea. Ma gli aiuti hanno raramente contribuito a sviluppare qualcosa, che i paesi riceventi non avrebbero già potuto fare da soli. Solitamente questi aiuti incoraggiano invece i peggiori comportamenti dei paesi riceventi, fornendo copertura a programmi e politiche che hanno affamato migliaia di persone e deragliato economie in difficoltà."

 

L'intellettuale americano accusa anche gli aiuti di aver rimpinguato le tasche di una crescente falange di burocrati "corrotti, ingerenti e strapagati," invece di contrinuire al benessere della società, oltre ad aver finanziato "white elephants", ovvero imponenti progetti i cui eccessivi costi di realizzazione non sono compensati dai benefici che danno.

 


 

Bovard sostiene: "Invece di rompere 'l'inesauribile ciclo di povertà,' gli aiuti sono diventati la droga dei paesi in via di sviluppo. I donatori internazionali hanno incoraggiato i governi dei paesi riceventi ad affidarsi all'elemosina per lo sviluppo, invece che su se stessi. Non importa quanto irresponsabile, corrotto o oppressive sia un governo in via di sviluppo, ci sarà sempre un governo occidentale, un'agenzia internazionle ansiosi di fornire altri milioni di dollari.

 

Sovvenzionando l'irresponsabilità politica e politiche perniciose, gli aiuti internazionali rendono un pessimo servizio ai poveri del mondo".

 

Una soluzione offerta da Bovard è quella del credito privato, che può avere effetti più positivi degli aiuti. Di fatto, il costo della politicizzacione del credito è superiore al costo degli interessi pagabili al credito privato.

 

Se pertanto vogliamo aiutare i "migranti a casa loro" è necessario ripensare la cooperazione internazionale. Se ciò non sarà fatto, proseguiremo a spendere miliardi in aiuti inutili allo sviluppo. Questi aiuti inoltre rimarranno controllati da politici ansiosi di acquisire consensi e da burocrati che desiderano ricevere la loro percentuale. I governi riceventi invece persisteranno nell'uso di queste donazioni in modo irresponsabile, mentre la crisi migratoria in Europa continuerà a crescere.

 

Aiuti 

(Fonte: Esteri.it)

 

 


Aggiungi commento