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23/11/24 ore

Il premier italiano in USA


  • Silvio Pergameno

L’incontro di Giuseppe Conte con il Presidente Trump è un fatto politico che non deve essere sottovalutato, anche perché dai colloqui sono emerse convergenze che definiremmo “tranquillizzanti” e forse proprio per questo…. preoccupanti. Ovviamente un incontro tra capi del governo (anche se Trump è pure Presidente degli Stati Uniti) è fatto per stabilire linee di condotta sulle situazioni nel momento dell’attualità, ma può, e nella specie dovrebbe, fornire indicazioni anche sul futuro, specialmente quando gli orientamenti influiscono sulle decisioni.

 

Ora nella fattispecie gli argomenti di fondo non sembra siano stati toccati che di striscio: Trump ha condiviso l’azione del governo Gentiloni che ha fermato gli sbarchi e sulla Russia sono state confermate le sanzioni…e Trump, ad esempio, ha detto a Conte di andare avanti con la TAP (Trans-Adriatic-Partnership), che sicuramente non piace a Putin. Ma sono punture di spillo…

 

E’ il discorso dei sottintesi, questa sorta di fermarsi nello statu quo. Putin e Trump possono pure litigare su singole faccende e Trump può pure accordarsi con l’Europa per i dazi e può anche confermare le sanzioni a Putin , ma è trasparente l’obbiettivo comune di tenere l’Europa divisa e debole. Putin coltiva Salvini, Trump coltiva Conte, che non è uguale a Salvini, ma comunque Conte e Salvini cercano  di lavorare insieme, soprattutto contro lo spettro dell’avanzamento dell’euro e dell’Europa, per le strade del sovranismo.

 

Ma i problemi di fondo non sono tenuti nel conto.

 

E questi problemi sono l’immigrazione e il rapporto proprio con la Russia di Putin, che Salvini coltiva sull’ormai secolare traccia dell’Italia presa in giro e sfruttata dalle altre potenze europee in nome della democrazia (negli anni venti e trenta bastava dire “democrazia”, oggi il discorso si è raffinato, quella che non va è la “democrazia rappresentativa” …).

 

A Putin, che ovviamente la democrazia non rappresentativa la ha ormai già realizzata, piace Salvini, perché, contrastando l’Europa e l’euro, tiene l’Europa divisa, e così spera di mangiarsela a spicchi; del resto il sovranismo tedesco già trionfa a Gazprom… Questo significa che il putinismo di Salvini può produrre soltanto guai.

 

Però il discorso non può fermarsi a questo punto, perché occorre osservare che – in prospettiva -  con Putin, giustamente punito per i fatti di Crimea e del Donbass e puntuale seguace della tradizione zarista, pure si dovrà arrivare a un discorso costruttivo, che può comunque essere avviato solo con un’Europa in grado di guidare il gioco: e si tratta del problema dell’immigrazione. Il governo Gentiloni ha trovato il modo di tamponare e Salvini adesso, “dettagli” a parte, si ferma lì, e conviene anche – per il futuro – sul fatto che “i migranti lavorino in Africa”.

 

Già, ma mica è facile. Il piano Marshall per l’Africa è certo un’idea giusta, ma chi lo paga? La nostra Italietta piena di debiti? E poi il piano Marshall per l’Europa nel secondo dopoguerra era diretto a paesi già industrializzati, che avevano una classe di industriali, di finanzieri, agricoltori, di professionisti, di politici… ma in Africa cosa troviamo? Qual è il contesto politico che può garantire che i soldi non vadano a finire in acquisti di armi e nell’attizzare fazioni ben armate? E poi USA e CINA e RUSSIA ci lascerebbero fare? Si aggiunge infine il problema del clima, che si è spostato verso il caldo. Sarà un ciclo lungo?  breve?  In fatto di clima poi cosa significano queste parole?

 

Se vogliamo far lavorare in Africa gli africani, cosa gli facciamo fare? Il clima non costringerà milioni di persone a migrare verso i paesi “freddi” (che diverrebbero “temperati”)? Ecco allora il problema della Russia e dei nuovi paesi resisi indipendenti con la fine del comunismo: da quelle parti ci sono spazi e risorse enormi… Utilizzabili? (mentre noi in Europa occidentale siamo già sovrappopolati…) Non sono certo soluzioni, sono solo considerazioni, ma hanno il pregio di spostare il discorso su un  altro piano. E forse è proprio questo il passaggio più difficile. 

 

 


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