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25/11/24 ore

Debiti e spesa pubblica l’enorme problema italiano


  • Silvio Pergameno

Agenzia Radicale ha avuto modo di ricordare più volte, soprattutto di recente, il problema dell’enorme mole del nostro debito pubblico, problema sul quale è sempre opportuno tornare, per valutarne in modo approfondito la natura, i rischi che vi sono connessi, i motivi che rendono indispensabile provvedere a ridurlo sensibilmente e insieme le difficoltà che si frappongono anche solo per dare l’avvio a quest’opera. Non è solo un problema di regolarità del bilancio, cioè della finanza pubblica: è senza dubbio uno dei maggiori, se non il maggiore e più complicato problema politico del paese.

 

La prima cosa che occorre sottolineare è che si tratta di una faccenda di vecchia, anzi vecchissima data. Quando il partito radicale pannelliano mosse i primi passi, cioè negli anni cinquanta del secolo scorso, questo debito era già consistente e mostrava già allora una tendenza per così dire ingravescente, facendo uso proprio di un termine del linguaggio medico. E non è un caso, perché si tratta di una vera malattia del nostro sistema politico e di una malattia che sembra essere inguaribile.

 

E il fatto che si trascini da oltre mezzo secolo, che accompagni cioè proprio la storia della nostra Repubblica, significa che si tratta di una magagna che i partiti non hanno saputo affrontare e tanto meno risolvere, perché è una malattia che concerne in sostanza proprio le forze politiche, soprattutto quelle maggioritarie.

 

E che le nuove forze politiche venute in essere dopo il crollo dei vecchi partiti (Democrazia CristianaPartito comunistaecc. ecc.) non hanno neanche pensato di voler curare. Movimento 5

Stelle e Lega ci tengono molto a sottolineare una loro pretesa diversità dal mondo politico precedente, ma non hanno avuto alcuna attenzione proprio su un problema tanto grave, come quello dei nostri debiti.

 

5 stelle” e “Lega” sono giunti al governo lo scorso maggio con programmi diversi e pensando di poter reggere con un accordo su alcune cose da fare. Abbiamo così avuto il “reddito di cittadinanza” e la “quota 100”, due provvedimenti che non hanno ottenuto il successo in cui forse i promotori confidavano e che comporteranno, more solitoulteriori incrementi della spesa pubblica.

 

Che poi è proprio il contrario di quel che occorre, perché la spesa pubblica viene finanziata chiedendo prestiti ai mercati e ai cittadini. E certo i soldi che lo Stato poi spende sono oltre tutto fonte di redditi, sia pure dovuti a lavoro improduttivo … accompagnato dalla usuale promessa di lotta all’evasione fiscale… Una guerra tante volte dichiarata ma mai portatrice di risultati significativi.

 

Siamo così arrivati al cuore del problema. La riduzione della spesa pubblica fa paura ai partiti, che temono una perdita di consensi. Ma non si può ignorare il fatto che il ricorso al debito pubblico è una forma di entrata assai pericolosa, perché provoca una colossale spesa per interessi, la quale determina poi l’incremento di quelle rendite che proprio la sinistra denuncia come un male sociale e che incontrano un esteso disfavore popolare, che si esprime nel ben noto disprezzo per i benestanti che campano di rendite, cioè senza lavorare, per cui il ricorso al debito pubblico si appalesa come un modo per smentire il primo principio che la costituzione enuncia.

 

E se non si riesce a ridurre le spese e se la lotta all’evasione fiscale fa poca strada, si dovrebbe necessariamente ricorrere all’aumento delle imposte, quando invece altra necessità di prim’ordine è oggi proprio quella di ridurle le imposte, per lasciare maggiori disponibilità per gli investimenti produttivi, cioè per la crescita economica. Con più soggetti da tassare, e con maggiori entrate, ma con aliquote di imposte più basse e avere mezzi veri per ridurre il debito pubblico. Invece di dover fare i salti mortali per non trovarsi costretti ad aumentare l’IVA, colpendo i consumatori, cioè tutti noi.

 

Quanto poi alla contrazione della spesa pubblica, il primo passo da compiere è quello di effettuare alcune distinzioni. La prima è quella tra spese produttive e spese improduttive, si legga cioè sussidi, agevolazioni, deroghe alle disposizioni di carattere generale che comportano sacrifici, e che quindi nel momento in cui sono evitate, scartate, eluse per effetto di normative di favore, non generano certamente esiti positivi sul piano della sistemazione della finanza pubblica, ma sono estremamente bene accolte e quindi foriere di successi.

 

E qui vanno evitati i moralismi. La ricerca del successo da parte dei partiti non è in sé da considerare illegittima e riprovevole. Ma non può certo cercare la sua strada in un modo di procedere assurdo, anche se sembra che non si riesca a trovarne un altro. 

  

(disegno da periodicodaily.com)

 

 


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