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26/12/24 ore

Islanda, che fine ha fatto la Costituzione 2.0?


  • Ermes Antonucci

L’Islanda è stato il primo paese al mondo a riscrivere la propria Costituzione in modo partecipativo, attraverso l’impiego di Internet e dei social network. Un esperimento che ha solleticato la fantasia di milioni di internauti. Eppure le cose, nonostante l’entusiasmo iniziale, non sembrano essere andate tutte per il verso giusto.

 

LE PREMESSE

 

Tutto comincia nel 2008, quando il microstato nordico, sull’onda del crollo dei subprime americani, è costretto ad affrontare la più grave crisi economica della sua storia. Il sistema bancario collassa. Le tre principali banche private falliscono e vengono nazionalizzate. L’Islanda, piegata in due, è costretta a chiedere un prestito al Fmi e a varare una manovra da lacrime e sangue.

 

È in questo contesto che inizia ad emergere la convinzione che, dopo il riassestamento economico, sia giunto il momento propizio per ridefinire il Paese anche dal punto di vista politico. E questo significa porre l’attenzione innanzitutto sulla Costituzione: praticamente una copia di quella della Danimarca (datata 1874), di cui l’Islanda è stata colonia fino al 1944. Un testo antico e inadeguato fin dal principio, ma che la classe politica, per circa 70 anni, non è riuscita a revisionare, se non in misura solo marginale.

 

Questa volta però la situazione è diversa. Il più pesante crollo bancario mai conosciuto da un paese nella storia economica – questa fu la valutazione dell’Economist – affonda, infatti, le sue radici anche nelle inadatte disposizioni espresse dalla Costituzione. Così il parlamento islandese (Althing), alla luce dei suoi innumerevoli fallimenti, decide di intraprendere una strada nuova. Consultando direttamente i cittadini, piuttosto che lasciare il lavoro in mano ai politici.

 

L’ITER REALE E VIRTUALE

 

Come prima cosa, il 6 novembre 2010, viene convocata un’Assemblea Nazionale composta da 950 cittadini islandesi, scelti a caso dal registro nazionale rispettando il principio di equa rappresentanza di sesso, età e provenienza territoriale. L’Assemblea si riunisce per un solo giorno e produce un documento in cui vengono delineati i temi chiave che, secondo i cittadini, dovrebbero trovare spazio nella nuova costituzione. Subito dopo, il Parlamento nomina una Commissione di sette membri, provenienti da diversi settori professionali (legge, letteratura, scienza, ecc.).

 

La commissione di “tecnici” produce un documento di circa 700 pagine che comprende una serie di proposte concrete e dettagliate per la nuova costituzione, nonché un’analisi degli specifici articoli della Costituzione del ’44 e un approfondimento di diverse tematiche di rilevanza pubblica. Infine, il 27 novembre 2010, viene eletta un’Assemblea Costituente composta da 25 membri, scelti dai cittadini in una rosa di 522 candidati. Requisiti richiesti per la candidatura: non essere affiliato ad alcun partito politico e raccogliere le firme di almeno trenta sostenitori.

 

Nonostante la bassa affluenza alle urne (36%), i risultati dell’elezione fanno il giro del mondo. Ad essere scelti come rappresentanti per la Costituente sono, infatti, cittadini “normali”: dottori, avvocati, preti, e persino un pastore.

 

L’Assemblea, trasformata in Consiglio Costituzionale per dribblare una sentenza della Corte Suprema islandese, inizia a lavorare sulla base del rapporto della Commissione, spalancando ulteriormente le porte ai cittadini attraverso l’utilizzo dei social network. Ogni settimana il Consiglio pubblica sul sito gli articoli provvisori della costituzione, invitando il pubblico a lasciare commenti e suggerimenti. Questi input vengono poi valutati e, se ritenuti adeguati, incorporati nel testo costituzionale, che poi viene di nuovo riproposto sul Web per ricevere altri feedback. In quattro mesi il Consiglio riesce a stilare la bozza della nuova costituzione e ad approvarla all’unanimità, con 25 voti a 0.

 

UN BRUTTO RISVEGLIO

 

Quando il lieto fine sembra ormai dietro l’angolo, la faccenda inizia a complicarsi. Il referendum consultivo indetto, il 20 ottobre 2012, per tastare il livello di consenso degli islandesi nei confronti della nuova costituzione registra, nonostante il clamore della vicenda, una bassa affluenza (48,9%) e una percentuale di voti favorevoli minore delle aspettative (67%).

 

In realtà che il grado di partecipazione da parte dei cittadini non fosse poi così elevato, lo si era compreso già durante la fase di discussione “virtuale” sul testo. Circa 3600 commenti e 370 proposte formali ricevute, 11.500 visualizzazioni per i video caricati dal Consiglio sul portale Youtube, 5600 fan sulla pagina ufficiale di Facebook, 545 followers su Twitter. Tutto ciò, si badi, a fronte del più alto numero al mondo di utenti Internet pro capite (95%). Insomma, non un successone.

 

Come se non bastasse, la Commissione di Venezia – l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che assiste gli stati nel consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche – inizia a sollevare critiche su alcune disposizioni contenute nel testo della nuova costituzione.

 

Il vero guaio, però, emerge in Parlamento. La maggioranza di centrosinistra (Alleanza Social-democratica e Movimento Verde), costituitasi nel 2009 dopo decenni di dominio del centrodestra, inizia a sfaldarsi, e i due principali partiti di opposizione (Partito Indipendente e Partito Progressista) cominciano ad attaccare duramente la bozza costituzionale.

 

Il punto è che la costituzione islandese (quella attuale e da riformare s’intende) prevede per la sua revisione un procedimento estremamente complesso: le modifiche alla costituzione, infatti, devono essere approvate dal parlamento, poi dai cittadini attraverso un referendum, e infine, dopo ulteriori elezioni politiche, da un nuovo parlamento. Una trafila che la maggioranza di centrosinistra, ormai deflagrata, non è in grado di affrontare.

 

In virtù dell’evidente impossibilità di approvare la nuova costituzione prima delle elezioni previste per il 27 aprile 2013, il parlamento decide di varare una mozione che modifica l’intero iter, rendendolo forse ancor più contorto: elezioni a fine aprile, approvazione del testo costituzionale da parte del nuovo parlamento con una maggioranza di 2/3 e infine un referendum popolare che registri il voto favorevole di almeno il 40% degli aventi diritto al voto (e ciò significa richiedere un’affluenza dell’80%, un miraggio se si considerano le affluenze precedenti). La mozione scatena un polverone, e c’è chi comincia a parlare in maniera esplicita di “morte della costituzione”.

 

Tuttavia a dare il colpo finale alla Costituzione 2.0, paradossalmente, ci pensano gli stessi islandesi. Tutto rimandato Alle elezioni del 27 aprile il centrodestra, fin dal principio critico nei riguardi della bozza costituzionale, torna a trionfare. Il Partito Indipendente e il Partito Progressista conquistano ben 38 seggi in parlamento sui 63 totali e, fin da subito, dimostrano di non avere alcuna intenzione di far risuscitare la carta costituzionale elaborata dai cittadini. E così c’è chi, come il professor Thorvaldur Gylfason – eletto a suo tempo all’Assemblea Costituente con il maggior numero di voti – già guarda con amarezza al futuro, sperando nella prossima legislatura: “Come sempre, ci sarà un nuovo parlamento dopo questo”.

 

Un fatto innegabile, ma siamo proprio sicuri che gli islandesi, questa nuova costituzione, la vogliano davvero?

 

 


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