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23/12/24 ore

Egitto, di rais in rais: è il turno di Abdel-Fattah al Sisi


  • Francesca Pisano

Ha giurato, Abdel-Fattah al Sisi, “di sostenere il sistema repubblicano, di rispettare la costituzione e la legge, di salvaguardare gli interessi del popolo, l’indipendenza, l’unità del paese e l’integrità territoriale”, come nuovo presidente d’Egitto.

 

La cerimonia si è svolta in una città del Cairo blindata dal controllo dell’esercito e di forze speciali, mentre il filo spinato è stato posto per sbarrare il passaggio nelle strade che conducono proprio a piazza Tahrir, luogo simbolo nel 2011 della ribellione del popolo al regime, in una primavera araba ormai lontana e ancora una volta tradita.

 

La vittoria dell’ex capo dell’esercito dell’Egitto è stata sancita, alla fine di maggio, dal 97% dei votanti, a sfavore dell’altro candidato Hamdeen Sabbahi, leader dell’opposizione di sinistra, per quanto l’affluenza alle urne sia stata intorno al 47,5%. Dai dati elettorali è emerso che oltre la metà degli aventi diritto al voto non ha affatto partecipato alle elezioni, tra loro tanti giovani disillusi dal frantumarsi della speranza di un cambiamento di cui, nella realtà, non hanno assaporato i veri frutti. Un esito insomma scontato a cui si è giunti grazie anche a un sostegno forte da parte dei mezzi di comunicazione che hanno riservato ad Al Sisi più spazio di quanto concesso a Sabahi.

 

Meno di un anno fa, l’attuale presidente ha preso parte al golpe che ha determinato la caduta del potere del presidente Morsi, il leader della Fratellanza musulmana. Gli scontri che ne sono seguiti hanno portato, dal golpe ad oggi, all’arresto di oltre 40.000 persone, fra le quali circa 10.000 appartenenti alla Fratellanza. Il movimento, accusato di terrorismo, è soggetto a una repressione e chiunque si opponga alle decisioni delle Forze armate, così come del precedente governo ad interim, è considerato traditore o terrorista.

 

Oltre ai sostenitori della Fratellanza, vengono colpiti da condanne o arresti anche giornalisti, studenti, attivisti e chiunque rappresenti un destabilizzatore della società perché non si attiene al rispetto delle autorità, senza opposizione. Per questi motivi sulla figura del nuovo presidente pendono le accuse di quanti lo ritengono fra i responsabili delle morti e degli arresti avvenuti in questi mesi.

 

Eppure la Fratellanza musulmana e i vertici militari del Consiglio supremo delle forze armate (Scaf nella sigla inglese) avevano convissuto nella “luna di miele” iniziata col primo referendum successivo alla rivoluzione del marzo 2011. A quel tempo risale inoltre la nomina di Al Sisi come ministro della difesa e capo delle forze armate proprio da parte di Morsi, il presidente islamista eletto dopo la caduta di Mubarak. Come è noto, il rapporto fra le due fazioni è andato poi deteriorandosi a partire dall’irrigidimento da parte di Morsi in posizioni sempre più vincolate all’acquisizione di poteri speciali e al di sopra del controllo istituzionale, con il conseguente scatenarsi delle proteste popolari e delle crescenti ostilità fra le parti.

 

Dallo scorso luglio i media locali parlano del nuovo rais Al Sisi come “dell’invincibile salvatore d’Egitto”, ma il sostegno popolare nei suoi confronti rischia di infrangersi fortemente, partendo dalle alte vette dell’aspettativa, contro il suolo di un Paese che vive ancora una fase fortemente critica per quanto riguarda la sua situazione economica e la questione sicurezza.

 

Il Presidente dovrà affrontare molti problemi quali la svalutazione della moneta, l’aumento del prezzo dei beni di prima necessità, gli scioperi da parte dei lavoratori, la necessaria riduzione del debito nei confronti degli altri Stati per l’importazione di cibo e l’energia.

 

Fra le poche certezze di questa fase c’è naturalmente il mantenimento di un ruolo dei militari predominante all’interno della società: non verranno di certo intaccati i loro interessi economici, sia quelli collegati alla produzione militare, che quelli connessi all’industria alimentare o nel settore turistico in cui pure sono titolari di proprietà. In tal senso risulta evidente che qualcosa di sostanziale e che attiene ai vertici del potere non è mai davvero cambiato, ma rischia anzi di tornare indietro, nonostante la primavera araba.

 

 


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