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25/11/24 ore

Le macerie del Muro di Berlino 25 anni dopo


  • Antonio Marulo

 25 anni: cifra tonda, bella, c’è il 5 e, come quelle con lo zero, si presta a festeggiamenti, ai ricordi del com’eravamo e al cosa siamo diventati. 9/11/1989, cade il Muro di Berlino: da allora, come dice il presidente onorario dell’Istituto Affari Internazionali, Stefano Silvestri, “c’è stata una ubriacatura generale ed è mancata una visione strategica” e oggi – dopo un quarto di secolo – “paghiamo la soddisfazione per la fine della Guerra fredda”.

 

Chi si mostra per nulla soddisfatto è Vladimir Putin, che chiede il conto: perché dopo il crollo del blocco sovietico non c’è stato un vero "trattato di pace", rivendica e sogna la nuova grande Russia e col paese sull’orlo della bancarotta investe in armamenti, invade l’Ucraina, punta con una buona dose di velleitarismo ad avere un rapporto privilegiato con la Cina, sorvola con i suoi aerei i cieli Nato, minaccia di chiudere i rubinetti del gas all’Europa…

 

 

Quest’ultima, dopo anni di illusione, vive nella crisi economica che l’attanaglia un vuoto assoluto e il dilemma Germania. Intanto, la politica del “disimpegno” attuata dagli Usa soprattutto nell’era Obama, incentivata dal raggiungimento di un autosufficienza energetica con l’estrazione dello shell gas, ha accelerato alcuni sconquassi in zone minate del pianete, dove la cosiddetta Primavera araba è sfociata nel caos attuale facendo perdere all’Occidente “amici” e importanti “punti di riferimento”.

 

Così, il mondo vive "crisi di diversa natura che si intersecano", con la crisi economica che per molti aspetti ha radici di natura politica. In proposito, il rapporto annuale curato da Nomisma sulle prospettive economico-strategiche – Nomos & Khaos - offre un ottimo quadro di insieme, attraverso una serie di saggi che analizzano i diversi aspetti anche da differenti punti di vista, fotografando il momento.

 

Giuseppe Cucchi, nell’introduzione al corposo volume, definisce l'ultimo “l’anno della carenza”: di beni materiali, come l’acqua, il cibo, la terra, l’energia…ma anche di beni immateriali, come il benessere, il lavoro, la privacy, la sicurezza. Quest’ultima rappresenta uno dei temi fondamentali di un “momento complesso dove non si riesce a capire chi è amico e chi è nemico”. Ed è il momento in cui, travolti dall’incalzare di due fenomeni – la globalizzazione e l’esplosione demografica - ancora tutti da studiare negli effetti e nei modi di cavalcarli per non morirne, “la geopolitica può e deve tornare prepotentemente in campo, dopo anni di oblio, perché – come afferma il FMI - "instabilità geopolitica influisce sulle prospettive di crescita economica".

 

Paradossalmente, come ha ricordato sempre Silvestri nel corso della presentazione del rapporto Nomisma – la fine della Guerra fredda ha rimesso via via sul tavolo le questioni degli imperi (zarista, sovietico, ottomano, asburgico) che credevamo liquidati”: ora “bisogna ricostruire un ordine diverso da quello uscito dal riordino dei vecchi imperi, fatto attraverso la costruzione di stati nazionali”.

 

I piani e le strategie vanno quindi essenzialmente rivisti: Obama, in primis, dopo la batosta elettorale del midterm, potrebbe essere indotto  a un nuovo impegno nelle zone calda per un po’ abbandonate; l’Ue dal canto suo è a un bivio fondamentale, obbligata ormai a scegliere se contare davvero essendo un tutt’uno o se andare in ordine sparso a guida germano-centrica, tra altro mal vista da Washington. In gioco c’è anche il futuro del patto atlantico e il ruolo della Nato. Sullo sfondo, ma mica tanto, l’accordo transatlantico di libero scambio (Ttip) fra USA e UE, di cui tanto si parla e poco si conosce nel dettaglio, che alcuni definisco letale per la cosiddetta economia sociale di mercato europea, mentre altri invece lo considerano l’occasione per rinsaldare anche economicamente il vecchio continente all’economia americana, che negli ultimi anni aveva guardato fin troppo al Pacifico.

 

In un quadro così delineato, il nostro paese può ritornare ad avere un ruolo di primo attore. Come afferma Marta Dassù di Aspenia, “l’Italia è fragile e isolata, ma ancora molto importante”: come 3° economia in Europa ha un forte potere negoziale; si trova all’incrocio fra due crisi, quella ad Est con la vicenda russo–ucraina e quella a sud nella vasta regione islamica. C’è da considerare inoltre che essa è alle prese con “incroci pericolosi: siamo dipendenti militarmente dalla difesa americana con le basi Nato; dipendiamo energeticamente dalla Russia; siamo paese d’approdo dei migranti dal sud"; in più c’è il fattore Cina non trascurabile.

 

Ci si trova quindi di fronte a sfide e scelte non di poco conto. Per questo la “politica estera merita attenzione” e chiarezza sugli intenti, oltre che una classe dirigente all’altezza dell'arduo compito. E c’è da chiedersi se le ultime scelte di Renzi per la Farnesina (Mogherini prima, Gentiloni poi) siano rassicuranti in tal senso. Qualche dubbio è legittimo.

 

 


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