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18/11/24 ore

Rugby dietro le sbarre, la mischia (rin)chiusa di Monza


  • Rugbycale

La nascita di una nuova squadra di rugby è un evento che mi allieta sempre le giornate: è bello vedere l'impegno delle persone, dirigenti e giocatori, per far crescere questo sport, con tutto il Movimento che si porta appresso.

 

L'ultimo embrione di rugby in Italia è nato in carcere, precisamente nella casa circondariale di via Sanquirico a Monza, che si trova dirimpetto al campo del A.S. Rugby Monza, storica società rossobianca brianzola, costituita nel lontano 1949 dal grandissimo ex nazionale ed ex Amatori Milano Adriano Chiolo.

 

Un progetto che nasce dalla voglia di conoscere i propri vicini di casa: "Riusciamo a sentire le nostre reciproche urla: quelle che vengono dal campo di gioco e quelle dalle celle dei detenuti. E allora ci siamo detti: perché no?" racconta Paolo Carcassi, presidente del Rugby Monza, squadra che dal mese di ottobre ha ufficialmente spezzato le sbarre del carcere monzese, portando l'ovale oltre quella linea fatta da mura di cinta e secondini.

 

La società AS Rugby Monza fornisce ormai regolarmente di giocatrici prestigiose la nazionale femminile, le stesse che hanno piegato la Francia sabato scorso sul campo di Rovato, e vanta una tradizione di rugby assolutamente di prim'ordine; "per ora stiamo iniziando a conoscere lo sport e le sue regole, poi progressivamente abitueremo i ragazzi al contatto per portarli a disputare tra un po' una vera partita" ha spiegato il coach Alessandro Geddo, giocatore del Monza e allenatore dei 18 detenuti della sezione "comuni" assieme al collega pilone Francesco Motta; nessuna partita in programma dunque, ma tanta carne al fuoco per un futuro rugbystico, oltre che da uomini liberi, per i detenuti monzesi.

 

Il rugby, che ha come consegna per chi lo pratica la buona creanza del rispetto assoluto dell'avversario e delle regole di gioco, in tal senso rappresenta una metafora della vita, spesso smarrita dietro i cancelli delle carceri italiane.

 

Il rugby: uno sport di avanzamento nel quale la passa si passa solo indietro, nella sua essenza non può che legarsi in maniera sodale e strettissima con la realtà carceraria, in cui la vita arretra inevitabilmente fin quasi a fermarsi, nella speranza di poter avanzare in futuro; il rugby: uno sport di contatto e forza fisica in cui "l'abitudine alle botte" si unisce con la consapevolezza del sè e del "noi", racchiudendo la gioia di vivere in una crisalide sportiva.

 

La situazione delle carceri e l'inerzia delle istituzioni è molto simile a quello smarrimento di valori sportivi ed umani (a volte definito "professionismo") di cui il calcio moderno è lo specchio e il rugby l'antitesi (almeno per ora): la totale mancanza di stato di diritto all'interno delle carceri italiane viene combattuta, in realtà come Torino (con la Drola Rugby) e Monza, dallo sport più duro e civile del mondo, in cui lo scontarsi fisicamente con l'avversario per 80 minuti implica necessariamente una caratura morale alta, che si forgia ed alimenta praticando questo sport, amandolo, respirandolo e, perchè no, soffrendolo.

 

Un cane che si morde la coda ma, per una volta, in senso assolutamente positivo: l'apporto sportivo, valoriale e civile che il rugby può dare alle carceri italiane è sicuramente una potenzialità da sfruttare, anche nell'ottica di quel reinserimento oggi latitante chissà dove, di quella riscossa civile cui tutti i detenuti aspirano.


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