Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

25/12/24 ore

Un Partito democratico frammentato e perso nella tattica politica



Nel numero 109 di Quaderni Radicali uscito in questi giorni, conversando col direttore Giuseppe Rippa, il prof. Biagio de Giovanni interviene sulla situazione del Partito democratico e sulle prospettive politiche di una sinistra di governo.


 

Rippa - È opportuno parlare di “crisi del Partito democratico” in vista del congresso preannunciato dal segretario ‘reggente’ Epifani, in un contesto politico come quello che stiamo vivendo, oppure è una forzatura, considerando che dopo il mancato successo elettorale nel voto politico si è registrato qualche recupero nel voto amministrativo parziale dello scorso maggio?

 

de Giovanni - Ho un’idea abbastanza precisa sul Partito democratico. A mio avviso, siamo di fronte ad una crisi e questo perché il modo in cui è nato il partito democratico ha creato le condizioni di crisi. Siamo di fronte ad una crisi di identità presente fin dalle origini, che diventa la causa di questa stato di cose. È un minestrone che non si è formato. Il tentativo di amalgamare varie culture politiche non è riuscito.

 

Si affermava di voler portare a sintesi i vari riformismi (cattolico, liberale, socialista, radicale, verde) e sono state invece organizzate le oligarchie di ex comunisti e di democristiani (in primo luogo della sinistra Dc) che hanno escluso proprio la “questione liberale”.

 

Per rimanere all’attualità: è stato proprio il voto per le politiche dello scorso febbraio che ha segnato la crisi del Pd. Una partita data per vinta è stata invece perduta, in maniera peraltro imprevista. Perché ciò sia accaduto una ragione deve pur esserci. In primo luogo, vi è una insufficienza della sinistra a diventare maggioranza. La formula bersaniana – si potrebbe dire – era quella più di “sinistra”, la più post-comunista. Già l’Ulivo era qualcosa di diverso, all'opposto il voto di febbraio ha manifestato un limite di espansività di questa sinistra, della sinistra più accentuatamente post-comunista: e lo dico in maniera non demonizzante.

 

Questo tipo di sinistra non va oltre il 31-33 per cento. Si è determinato qualcosa di diverso. È nato un fenomeno, quello del Movimento 5 stelle, che molti si affannano (sbagliando) a ritenere in fase calante. Esso ha riproposto un vecchio modello democraticistico, molto presente nella sinistra antagonista, con il suo animo populista e giustizialista, ben rappresentata oggi nel movimento di Grillo.

 

Il quadro dunque si è complicato e il Pd, così com’è, si rischia non trovarlo più. Resta l’interprete dei ceti pubblici, parallelamente ha una capacità diffusa di produrre ceti amministrativi (questo accadeva anche ai tempi del Pci e non solo nelle città rosse), anche perché le personalità più significative nelle città difficilmente si schierano con il centrodestra. Dunque mantiene una diffusa capacità amministrativa, che tuttavia nel momento dello scontro politico nazionale viene sconfitto.

 

Rippa - Ma credi che il dibattito sulle questioni di cultura liberale, di cultura di governo, che è mancato nel processo formativo del Partito democratico, possa svilupparsi finalmente adesso, in vista del prossimo congresso, o viceversa lo scenario interno, fortemente caratterizzato da dinamiche correntizie, confermerà i punti di debolezza di questo partito?

 

de Giovanni - Sono convinto, anche per quanto detto, che questi aspetti di debolezza resteranno. Ho sempre pensato, direi abbiamo sempre pensato insieme, che il vizio è nel processo formativo, nel modo in cui è nato il Pd, dall’incontro tra gruppi dirigenti consolidati, che non sono certo stati l’emblema culturale e di gestione democratica dei loro partiti.

 

Parlo ovviamente di quelle oligarchie di matrice cattolico-sociale e (post)comunista che, come ho avuto modo di scrivere, hanno cercato il “vero punto di unità... in quella torsione del rapporto fra uguaglianza e libertà, fra solidarietà e diritti, per usare parole nobilissime, che ha dato vita alla forma corporativa e assistenziale dello Stato sociale italiano, e alle sue drammatiche degenerazioni...”.

 

Queste oligarchie hanno mirato sempre ad escludere le anime liberalsocialiste, liberalradicali ‒ chiamiamole così ‒ della sinistra italiana. Ma il fatto nuovo è che queste due culture, per quanto siano state l’elemento fondante la nascita del partito, oggi sono molto più disperse, divenute corrosive e trascinate in mille dinamiche correntizie...

 

- prosegui la lettura dell'articolo su Quaderni Radicali 109, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Un domani al Partito democratico di Giuseppe Rippa


Aggiungi commento