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06/05/24 ore

La politica dei segni di Papa Francesco



Assenza dei corazzieri, una semplice vettura utilitaria che varca il portone del Quirinale. Dentro un ospite importante. Il vescovo di Roma, capo della Chiesa cattolica romana. Quel Papa Francesco che in pochi mesi sembra aver ribaltato, con il suo linguaggio, i suoi gesti, il modo di proporsi del Vaticano. La visita di qualche giorno fa che il Pontefice ha fatto al presidente della Repubblica Napolitano al Quirinale è stata particolare, perché conteneva non solo l'aspetto formale ma anche un insieme di segni e di parole che meritano un approfondimento.

 

Un clima di familiarità e affetto quello auspicato da Giorgio Napolitano in occasione della visita al Quirinale di Papa Francesco: Bergoglio scende da una Ford Focus blu che si muove per la città di Roma come se non stesse trasportando un passeggero speciale.

 

“A me fa male quando vedo un prete o una suora con un’auto di ultimo modello” aveva detto Francesco a luglio durante l’incontro con i seminaristi nell’Aula Paolo VI, iniziando la piccola rivoluzione a partire da se stesso, con la riduzione della scorta, con l’indossare vesti semplici, con la sua spiritualità gesuita al servizio della Chiesa.

 

I grandi gesti di Francesco, che garantiscono iperbolici titoli da copertina, sono anche in tutte quelle piccole manifestazioni d’affetto: spontanee, oneste, ma nel bene o nel male di grande impatto mediatico. C’è chi lo accusa di cadere nella banalità di gesti prevedibili, chi aspetta dalla sua Chiesa cambiamenti copernicani, in particolare sulla “questione famiglia”, chi lo elogia per essere riuscito a nascondere ogni traccia di dogmatismo, come Napolitano nel corso dell’incontro del 14 novembre.

 

Il Presidente della Repubblica ha esordito con la speranza che la solennità formale della cerimonia non appannasse i “sentimenti” che ha suscitato Francesco fin dai primi momenti del suo pontificato. Sentimenti genuini che scaturiscono da quello che è stato definito “un nuovo modo di rivolgersi” ai credenti come ai non. Secondo Napolitano quella di Francesco è una nuova concezione di fede che si diffonde attraverso “semplici e forti parole”.

 

Il discorso non entra certamente nel merito del rapporto più intimo fra Chiesa e modernità, ma prende spunto dalla “fede del dialogo” di un Papa che, come ha detto, “vorrebbe bussare alle porte di ogni casa”, per farne un termine di paragone e un momento esemplare per le “incomunicabilità” quotidiane della politica italiana, da cui Napolitano è stato in ogni caso scelto. Dal ragionamento sull’arte del parlare alla denuncia della piaga della corruzione.

 

Nel discorso a Casa Santa Marta dell’8 novembre, Francesco anticipava una denuncia, o meglio, un richiamo alla coscienza di ciascuno sulla pratica del “tangentismo”, un male che toglie la dignità e danneggia il bene comune. Se la politica deve imparare l’umiltà del confronto da questa nuova Chiesa, anche la Chiesa, insieme alla politica, deve combattere contro interessi personali e particolarismi. La parabola dell’amministratore disonesto invita a pregare e a meditare su un fenomeno sociale diffuso, quello di portare da mangiare ai propri figli “pane sporco”.

 

Napolitano racconta un’Italia che deve liberarsi da “i più meschini particolarismi” e da una corruttibilità dilagante “per recuperare partecipazione, consenso e rispetto”. Il Presidente, quasi si trattasse di un momento di espiazione della politica italiana al cospetto di Papa Francesco, confessa i “drammi” dell’attualità, chiedendo, invece che la “grazia”, l’assoluzione da quei peccati così diffusi da aver esposto le istituzioni oltre che a “critiche fondate” ad “attacchi distruttivi”.

 

Ludovica Passeri


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