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17/11/24 ore

Renzi, a Montecitorio il discorso dell’ultima spiaggia


  • Antonio Marulo

 “Ultima chance per recuperare e se perdiamo non perde il governo ma l’Italia”. Matteo Renzi ha così messo e ribadito un punto fermo, in vero discutibile: non c’è alternativa a lui, senza di lui il diluvio. Lo ha fatto alla Camera dei Deputati nell’illustrare i Mille giorni (è la terza volta in due settimane) “alla fine dei quali l’Italia tornerà ad avere un ruolo”.

 

È sembrato quello del premier una sorta di "training autogeno", un esercizio di auto-convincimento per dar coraggio a se stesso prima di tutto sul fatto che ce la può fare, più che un invito all’impegno e alla responsabilità rivolto ai deputati riottosi e resistenti ai suoi diktat.

 

Più che di forza, si è trattato di un ulteriore segnale di debolezza quello dell’ennesima messinscena dell’abile eloquio renziano, mentre emergono sempre di più le difficoltà di tradurre in fatti l'annuncite acuta.

 

Intanto, tutti hanno avuto modo di  ripassare la lezione - ormai venuta a noia in assenza di concretezza - su ciò che il governo avrebbe fatto di buono fin qui e sulle riforme da fare d'ora in avanti.

 

Nel mare magnum di parole (che risparmiamo in questa cronaca per non infierire sul paziente lettore) vale la pena estrapolare alcune frasi sulle quali Governo Leopolda è atteso immediatamente al varco:

 

- "La legge elettorale la faremo subito, ma non per andare immediatamente a votare, ma perché una ennesima melina istituzionale sarebbe un affronto"; (che poi la legge sia buona o meno resta un dettaglio insignificante ndr)

- “Noi non accettiamo che uno strumento a difesa dell’indagato, l’avviso di garanzia, possa costituire un vulnus all’esperienza politica o imprenditoriale di una persona”;

- “Sul tema del lavoro non dobbiamo perdere un giorno di più”;

- “Sono disponibile a perdere il consenso, non sono disponibile a perdere tempo”. 

 

Ipse dixit

 

P.S. : quanto ai diritti civili, “al termine dei mille giorni – assicura Renzi - sul tema ci sarà una legge". Più vago di così…

 

 


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