C’era una volta l’Italia “paese per vecchi”. Anche se, almeno per la politica, da un po’ sembrava non esserlo più a causa della rottamazione. Ma il vento può d’improvviso cambiare, se i “giovani rampanti” non si dimostrano all’altezza. Almeno questo è l’auspicio di Guido Bertolaso, intervistato a Radio Capital all’indomani della sua “discesa in campo”.
Il fresco candidato del centro destra per la guida della Capitale porta l'esempio della “vittoria degli Stadio a Sanremo”: la dimostrazione “che i non giovanissimi hanno ancora speranze di successo in questo paese”. E lui in effetti non è di primo pelo, ma si definisce con fierezza “un vecchio democristiano”, un insulto – questo - fino all’altro ieri, che ridiventa per l’occasione (segno dell’ aria “nuova”?) un valore aggiunto, mentre ci si affretta a sgombrare il campo da equivoci compromettenti. “Non ho mai votato Berlusconi”, chiarisce infatti l’ex capo della Protezione civile, rispolverando l’equivalente, ormai, di “ho tanti amici gay” per il sospetto omofodo di turno.
Bertolaso è così pronto alla sfida, anche con una buona dose di celodurismo d’antan, che per l’appunto non guasta: perché per Roma "ci vuole un sindaco con gli attributi ed esperienze grosse”. E modestamente lui dice di esserseli costruiti “sul campo, alla luce dei mestieri” che ha fatto. Nulla a che vedere con Alfio Marchini, “uno perbene, entusiasta”, anche se per “una città complessa come Roma non bastano entusiasmo e soldi".
Quanto ai primi impegni come Sindaco, c'è "quello di portare la differenziata al 100%, con il porta a porta si può", mentre matura “un’dea geniale” per il nuovo stadio di Roma. Ah, a proposito, Bertolaso si confessa “romanista”, tuttavia - giusto per la precisione - ci tiene a dire che “il marito di mia figlia è un accanito laziale”. Ecco, non tutti i mali vengono per nuocere.
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