Male che vada, a Luigi Di Maio sarà dato almeno il merito di aver risollevato l'orgoglio democristiano, così tanto mortificato negli ultimi lustri. I paragoni col passato si sprecano, infatti.
Per esempio, si è parlato della “teoria dei due forni” di andreottiana memoria, che il leader 5 stelle starebbe scimmiottando per "tirare a campare" e non "tirare le cuoia".
Tutto lecito, ci mancherebbe. Quel che dà fastidio, piuttosto, è il modo con cui si guarda e si valuta la metamorfosi grillina, dal vaffa al “contratto alla tedesca”, con il Pd o con la Lega, tanto è uguale.
Il carro affollato dei presunti vincitori pullula di maestri del pensiero che non fanno una piega. Da un partito che si definisce post-ideologico, né di destra né di sinistra, ci si aspetta, a quanto pare, questo e altro, tutto e il contrario di tutto. Lo si è visto in campagna elettorale; e la strategia è stata premiata. Lo si vede ora, quando si propongono due possibili alleanze che prefigurano approcci, visioni e politiche agli antipodi.
Nel frattempo muta il lessico dal giorno alla notte. Come scrive Maurizio Crippa sul Foglio, «quel che era “inciucio” è diventato il possibile accordo, quello che era il “poltronificio” è diventata la normale divisione delle cariche tra i vincitori. Quello che era “lo streaming” è diventato “colloqui”. Il “governo di cambiamento” fu quell’antica formula per la quale umiliarono Bersani, lo “stalker politico”, in streaming. Ora il “governo del cambiamento” è la cosa che vogliono fare loro.
Quel che era il “pdmenoelle” del comico neologista è diventato “spero di incontrare Lega e Pd”. Quello che era “reddito di cittadinanza” è diventato un rafforzamento delle misure anti povertà. Quelli che erano i voltagabbana ora sono colleghi da ascoltare, e potrebbero essere i nuovi “responsabili”...»
Mesi, anni di propaganda rimangiati in un sol boccone. Idee e opinioni ribaltate come se nulla fosse, approfittando dell'ottusa luna di miele con gli elettori. Mattia Feltri ce ne offre un'altra compiuta casistica su La Stampa, a proposito del pensiero di Di Maio sul Pd, ieri e oggi, prima e dopo la cura...
Anche in questo caso – al di là delle prese d'atto – tutto scivola nella presunta normalità della dialettica politica. Si tratterebbe di un peccato tanto odioso, quanto veniale e scontato, a cui gli osservatori e i commentatori, in piena sbornia grillesca, non danno peso. A limite lo interpretano come un segnale rassicurante: i giochetti da prima repubblica non dispiacciono, evidentemente; e dimostrano quanto in filigrana loro siano come gli altri.
Cambierà tutto, quindi, perché nulla cambi. (Se non in peggio). (A.M.)
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