Ce l'hanno messa tutta, loro. C'hanno provato, dicono. Ma non c'è stato nulla da fare, lamentano. Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono quindi trovati concordi sullo sbocco finale: campagna elettorale.
Entrambi, mentre il terzo giro di consultazioni erano ancora in corso, hanno iniziato la propaganda, con i soliti mantra, decantando la bontà del proprio agire, scaricando la responsabilità su chi, dai rispettivi punti di vista, ha provocato lo stallo.
Pertanto, il no netto al governo neutrale e di servizio fino a dicembre, proposto, forse un po' velleitariamente, dal presidente della Repubblica, si è rivelato cosa scontata. Meglio invece il voto. Prima possibile. D'estate. Con la stessa vituperata legge elettorale. Quella che avrebbe avuto, secondo Beppe Grillo, solo lo scopo di impedire il governo dei 5 stelle, ma che adesso va più che bene per fare il cosiddetto “ballottaggio”, dando per certa la polarizzazione delle preferenze verso i due presunti vincitori del 4 marzo.
Di Maio ne è convinto e lo ha ribadito, mettendo in guardia chi si illude sul calo dei consensi grillini, sulla scia di quanto accaduto in Molise e Friuli Venezia Giulia. Come ha detto l'ex candidato premier, uscendo dal colloquio col Presidente Mattarella, “sarà come al solito una sorpresa la fiducia che ci verrà tributata”.
La stessa fiducia in cui conta dall'altro versante Salvini, forse con qualche cognizione di causa in più. Le vittime designate dovrebbe essere Berlusconi e quel che resta del Pd.
Chissà in che misura i loro conti torneranno. (red.)
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