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22/11/24 ore

Riduzione dei parlamentari. La bufala del Si al referendum come breccia per le riforme


  • Luigi O. Rintallo

Con l’avvicinarsi del referendum sulla riduzione dei parlamentari, assistiamo a un riposizionamento abbastanza significativo nel campo sia politico, che informativo.

 

Per quanto riguarda l’informazione in questi ultimi giorni vediamo le testate del gruppo Agnelli dare spazio alle ragioni del NO (il neo-direttore di «Repubblica», Molinari, ha vergato un editoriale in tal senso), quasi a far da sponda ai molti mugugni circolanti fra diversi esponenti della sinistra.

 

Viene da domandarsi quanto giochi in questo la necessità di differenziarsi nello stesso mercato editoriale, oppure la latente velleità di coprire ogni versante così da sminuire ogni esito dovesse uscire dalle urne.

 

Si verificano anche bizzarrie, quali l’unanimità per il NO di tutti gli ospiti di qualche talk show pur schierati politicamente su fronti opposti: da Mario Capanna a Maria Giovanna Maglie, passando per l’ex sindaco di Milano Albertini e Gianni Cuperlo del PD. Ma tant’è. Anche questo fa parte del gioco delle parti al quale ci ha abituato un giornalismo quanto mai di nocumento al “conoscere per deliberare”, che invece sarebbe necessario come il pane in questa occasione.

 

Tra i partiti, il primo ad aver effettuato un drastico ripensamento è stato – com’è noto – il Partito Democratico, che per tre volte si era opposto in aula alla modifica voluta dai 5Stelle e poi, senza un’adeguata giustificazione nel merito se non quella di ottemperare all’aut aut di Di Maio per la formazione del governo Conte-bis, si è dichiarato a favore.

 

In questo modo, la stragrande maggioranza dell’arco di forze in Parlamento si esprime per il SI al referendum costituzionale, e già questo dovrebbe far emergere qualche perplessità sul valore di questa variazione del testo costituzionale: quasi tutta la classe politica si auto-limiterebbe e darebbe credito all’argomento privilegiato della polemica anti-parlamentare. Tutti autolesionisti?

 

Ma transeat e consideriamo altri aspetti. Dopo aver motivato per settimane la necessità della riduzione con il risparmio di spesa, resisi conto della sua debolezza, i fautori del SI paiono ora spostare l’attenzione altrove. In particolare, proprio dall’area vicina al PD – forse alla defatigante ricerca di argomenti che spieghino l’inversione di rotta – si fa strada un nuovo tropo, quello del voto favorevole inteso come “breccia” per avviare un più generale processo di riforme.

 

Se ne sono fatti portatori alcuni editorialisti e in particolare il costituzionalista Stefano Ceccanti : a loro dire, pur riconoscendo i limiti della legge costituzionale approvata il 12 ottobre 2019, votare SI al referendum comporterebbe l’innesco di future riforme – sia del testo costituzionale, sia elettorali – che perfezionerebbero l’intero sistema politico e lo renderebbero più adeguato al nostro tempo. 

 

Difficile dire quanta buona fede ci sia in argomentazioni del genere, ma vien fatto di osservare che il SI vinse nel referendum costituzionale del 2001, quello che ha confermato la più deleteria delle riforme costituzionali – quella del Titolo V sul rapporto Stato-Enti locali – e non solo ha dato luogo a un cambiamento peggiorativo dell'ordinamento, ma non ha certo dato avvio a chissà quali altri mutamenti.

 

Anche perché questi ultimi dipendono piuttosto dalla volontà delle forze politiche e dalla loro lucidità, cose che sinora fanno ampiamente difetto. Se non altro a causa del fatto che le modifiche costituzionali che occorrerebbero si scontrano con le preoccupazioni presenti in ciascuna forza politica. 

 

Come già rilevato, l’anomalia del nostro sistema consiste nel fatto che, a differenza delle altre nazioni europee, l’Italia ha adottato un sistema istituzionale ibrido, non optando né per il premierato – sul modello tedesco o britannico – né per la repubblica presidenziale alla francese.

 

Questo nodo non si è mai voluto sciogliere, preferendo seguire la scorciatoia dei ripetuti interventi sulle leggi elettorali ispirati dall’opportunismo legato ai particolari momenti politici. Mai essi sono stati inquadrati all’interno di una cornice di cambiamento dei soggetti istituzionali. Anche perché tanto il premierato che il presidenzialismo richiedono sistemi elettorali che contrastano la frammentazione partitica, come pure i particolarismi con riflessi sull’assetto corporativo del Paese.

 

Proprio quello che più avversano le oligarchie dominanti in Italia, per le quali ciò che conta è lasciare sostanzialmente invariato lo status quo secondo i principi del gattopardismo, dove cambiare serve a far rimanere tutto com’è.

 

 

 


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