Alle donne italiane dice: «Se vogliono cambiare la loro situazione, nessuno glielo concederà gratis. Devono attivarsi. E io a parte alcune associazioni, non vedo grandi movimenti di piazza». (di Lidia Baratta - da linkiesta.it)
Senatrice, partiamo dai soldi. Una delle sue battaglie è stata quella relativa al cosiddetto “tesoretto delle donne”, il risparmio derivato dall’innalzamento dell’età pensionabile delle donne che lavorano nel pubblico impiego. Il risparmio ottenuto doveva essere destinato allo sviluppo del lavoro femminile e a politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Che fine ha fatto quel gruzzolo?
Il tesoretto delle donne è letteralmente sparito. Nel senso che è stato sottratto al capitolo di spesa per “interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all’esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici” a cui era destinato. Quei soldi, nel bilancio dello Stato, sono finiti però a sanare il debito. È un'ingiustizia perché è stata violata una legge che predisponeva questo, la 122 del 2010 (che seguiva il decreto numero 78 del 2010, ndr). La destinazione dei soldi è stata cambiata solo nella legge finanziaria. Parliamo di quasi 4 miliardi entro il 2020. In un suo intervento in Senato contro il ritiro del provvedimento lei aveva parlato di uno «scippo legale e illegale».
Cosa si poteva fare con questi soldi?
All'epoca avevamo fatto una serie di proposte. Un’ottima strada potrebbero essere i voucher, sul modello del welfare francese, per pagare baby sitter e asili nido. Il che richiederebbe un investimento iniziale non elevatissimo, innescando però processi virtuosi nella lotta contro evasione e lavoro nero. Per facilitare l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro servono servizi per le persone. Una spesa che col tempo si autofinanzierebbe, poiché potrebbe avere come conseguenza la nascita di imprese private legate ai servizi stessi.
E oggi? Quali sono le urgenze per quella che tutti ormai chiamano l’“agenda delle donne”?
Non sono convintissiva della proposta della detassazione del lavoro femminile fatta da Giavazzi e Alesina. Quello che si può fare oggi è l'utilizzo dei fondi strutturali europei in maniera mirata. Sono fondi freschi, gli unici che vedo arrivare in questo momento di grandi scandali finanziari che per giunta drenano le risorse pubbliche.
Da dove cominciare?
Le materie su cui intervenire sono moltissime, bisogna tornare alla carica con il prossimo governo. Da dove si comincia non importa, purché si comincia. Bisogna mettersi in testa che servono i servizi e i servizi costano. Ma niente “quote rosa”. Bisogna favorire merito e trasparenza. Bisogna affrontare la questione femminile in termini di merito, non di quote. Servono procedure più trasparenti. Chissà perché quando si votano le varie cariche c'è sempre questa telepatia tra i votanti...
Eppure nella riforma del lavoro Fornero sin dalle prime righe è scritto nero su bianco di voler favorire l’occupazione femminile e incentivare misure di conciliazione lavoro-famiglia.
Certo, le intenzioni ci sono. Ma la strumentazione finanziaria mi sembra piuttosto inadeguata. I servizi costano, le procedure di conciliazione costano. Nei livelli di occupazione femminili in Europa siamo agli ultimi posti posti. Peggio di noi c’è solo Malta.
Come si spiega questa arretratezza?
Tutto questo non accade per destino divino. Il problema è soprattutto culturale...
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