Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

18/11/24 ore

Il conflitto in procura



di Angelo Panebianco

(da corriere.it)

 

La Procura di Milano non è una Procura qualsiasi. Le inchieste di Mani Pulite di venti anni fa modificarono la nostra «costituzione materiale». Da allora, la Procura di Milano è uno dei centri di potere più importanti del Paese. È un fatto che qualunque analisi del nostro assetto istituzionale che dimentichi il ruolo strategico di quella Procura si riduce a una finzione formalistica.

 

La Procura di Milano, nel mezzo di inchieste delicatissime, è ora dilaniata da violenti conflitti (fra Bruti Liberati e Boccassini da una parte e Robledo dall’altra). Fioccano accuse reciproche di dire falsità, ci si rinfaccia comportamenti e invasioni dei campi di competenza altrui. Se il Consiglio superiore della magistratura fosse cosa diversa da ciò che è agirebbe con tempestività per stroncare la guerra in corso. E magari anche per spostare nelle mani di persone più serene le inchieste più delicate.

 

Ma il Csm è un organo lottizzato dalle correnti e le sue decisioni (e le sue non decisioni) sono il frutto di negoziazioni fra i diversi gruppi organizzati della magistratura. È improbabile che da lì vengano, per giunta con tempestività, provvedimenti risolutivi. Temporeggiare e sopire in attesa che i rumori si plachino e che una decisione, presa col bilancino, diventi alla fine possibile, sarà quasi sicuramente la strategia che il Csm adotterà.

 

Come sempre, quando è chiamato a dirimere risse fra magistrati. Solo che questa volta non siamo in presenza di una zuffa qualsiasi. Dato il ruolo della Procura di Milano e il peso politico-simbolico da essa assunto negli ultimi venti anni, questa volta ciò che è in gioco è, niente meno, il rapporto fra la magistratura e il Paese. Se una Procura viene identificata per tanti anni da una parte rilevante dei cittadini come il «tempio della giustizia» per eccellenza e poi si scopre che i sacerdoti si scannano fra loro, difficilmente il rapporto fra la magistratura nel suo complesso e il Paese ne usciranno indenni.

 

Tenuto anche conto che un’altra parte di cittadini, di quella Procura e di molte sue azioni non ha mai pensato bene. Chi ama le immagini suggestive, spesso sbagliate, potrebbe sostenere che la fine di quella che è stata chiamata Seconda Repubblica porti con sé anche il ridimensionamento (o un mutamento di posizione e di ruolo) della Procura che, più di ogni altra, vi ha svolto una parte fondamentale. Come sempre, le cose sono più complicate...

 

prosegui la lettura su corriere.it


Aggiungi commento