di Sergio Rizzo (da corriere.it)
«Tesoro: parte la revisione della spesa, nominata commissione di esperti». Titolava così l’agenzia Ansa il 16 marzo del 2007. Governava Romano Prodi con Tommaso Padoa-Schioppa ministro dell’Economia e la «revisione della spesa» era un oggetto così misterioso che la principale agenzia di stampa del Paese aveva fino ad allora pubblicato appena cinque notizie contenenti le parole inglesi spending review . Revisione della spesa, appunto. Ovvero, il procedimento di matrice anglosassone per rendere più efficiente la spesa pubblica ed eliminare gli sprechi.
Elementare. Così elementare che da quel momento l’inondazione non si è più fermata. La formula spending review è stata citata in 9.844 lanci dell’Ansa, a una media di 3,29 citazioni al giorno. In cinque differenti governi si sono alternati 15 fra commissari e consiglieri: con la parentesi dei quattro anni dell’esecutivo di Silvio Berlusconi.
Prima il pool di dieci consiglieri incaricati da Padoa-Schioppa. Quindi, nel 2012, Enrico «mani di forbice» Bondi. Poi il ragioniere generale dello Stato Mario Canzi. Per arrivare al ministro Piero Giarda e quindi, con il governo di Enrico Letta, a Carlo Cottarelli. E infine a Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, installati al timone della spending review da Matteo Renzi. Con un simile spiegamento di parole e di risorse umane, viene da domandarsi, chissà quali risultati saranno stati raggiunti.
La risposta è in un dossier dell’Ufficio studi della Confartigianato.Eccola: 33 rapporti scritti, per un totale di 1.174 pagine. Un diluvio di parole. Tutto qui? In sostanza, sì. Ha calcolato l’organizzazione degli artigiani che dal 2007 la spesa pubblica corrente primaria è salita di 107,2 miliardi di euro, con un incremento del 18,1 per cento in sette anni. In parallelo, la spesa per gli investimenti è scesa di 9,2 miliardi, con una flessione superiore al 20 per cento, mentre le entrate hanno registrato un’impennata di 77,2 miliardi.
Il che ha confermato all’Italia il primato assoluto continentale nell’aumento della pressione fiscale. Il tutto senza alcun effetto positivo sulla crescita economica, se è vero che nel periodo in esame il Prodotto interno lordo è sceso in termini reali di ben l’8,2 per cento: nell’eurozona nessuno ha fatto peggio di noi...
- prosegui la lettura su corriere.it