di Arianna Giunti
(da l'Espresso)
A pubblicizzare il prodotto c’è una bella dottoressa bionda, avvolta da un camice bianco, che sfodera un sorriso smagliante. Sembra dirti: “Non avere paura”. La paura, in effetti, passa mano a mano che si scorrono le rassicuranti spiegazioni mediche sulla homepage del sito. Sono scritte in inglese, ma non occorre aver studiato a Oxford per capirne il senso: “Niente rischi medici, niente complicazioni, niente conseguenze future”. E soprattutto: “Privacy più assoluta”.
Quindi basta scegliere la quantità (poche singole pillole o un’intera confezione), digitare il numero della propria carta di credito e fornire un indirizzo. Et voilà: per meno di 180 euro, entro cinque giorni lavorativi, ben nascosto in un anonimo pacchetto, eccoti servito il kit per l’aborto. Più facile che bere un bicchier d’acqua.
La prima a lanciare l’allarme sul fenomeno è stata la Procura di Genova. Che nel 2013 ha avviato tre inchieste parallele e che cinque mesi fa ha arricchito i propri fascicoli con la testimonianza di Francesca, nome di fantasia di una studentessa di 17 anni, ricoverata all’ospedale San Martino per via di alcuni anomali e prolungati sanguinamenti. La liceale ha raccontato ai medici che era colpa delle mestruazioni, particolarmente dolorose e abbondanti. Davanti a un’ecografia, però, la verità è venuta a galla: ingoiando nove compresse di Cytotec in 24 ore il suo utero si era contratto fino a collassare in una lenta emorragia interna. I medici le hanno salvato la vita per un soffio.
Contemporaneamente, indagini simili su aborti definiti “spontanei” sono spuntate anche a Torino e a Pescara. Dove il comune denominatore, oltre alla giovane età delle protagoniste, è un medicinale: il Cytotec, appunto. Un farmaco per combattere l’ulcera composto da Misoprostolo dal costo di circa 14 euro a scatola che, se assunto in dosi massicce, provoca il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione. In parole povere: un aborto.
Ormai è un dato di fatto: nonostante la legge 194 sia in vigore da quasi 40 anni, interrompere una gravidanza in Italia è ancora molto difficile. Lo dimostrano le cifre, lo raccontano le storie e lo ha messo per iscritto il Consiglio d’Europa, che di recente ha condannato il nostro Paese per non aver rispettato il diritto alla salute delle donne che vogliono interrompere la gravidanza. E quindi il piano B si chiama “aborto fai-da-te”...
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