Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Brexit: negoziati Ue/GB, nebbia fitta sulla Manica



di Carlo Curti Gialdino *

(da Affari Internazionali)

 

All’inizio del terzo ciclo negoziale sulla Brexit tra l’Unione europea e il Regno Unito (28-31 agosto 2017), la distanza tra le parti non accenna a diminuire [1]. Come noto, nell’incontro iniziale del 19 giugno è stata convenuta la struttura dei negoziati e sono state individuate le tematiche prioritarie oggetto della prima fase delle trattative.

 

Il governo di Londra ha dovuto rinunciare al cavallo di battaglia lungamente sbandierato: il parallelismo tra negoziato sull’accordo di recesso e quello concernente gli aspetti essenziali del quadro sulle future relazioni tra Regno Unito e Unione europea.

 

Si è convenuto, invero, che la seconda fase delle trattative, quella in cui si discuterà dei reciproci rapporti commerciali, inizierà solo se il Consiglio europeo avrà constatato l’esistenza di progressi “sufficienti” su tre tematiche in particolare: a) le questioni inerenti i diritti dei cittadini delle due parti; b) la liquidazione degli aspetti finanziari; c) le questioni concernenti la frontiera tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.

 

Secondo round, bilancio deludente


Il bilancio del secondo incontro negoziale (17-20 luglio), in cui tali tematiche sono state trattate per la prima volta in maniera sostanziale, è stato tuttavia estremamente deludente e la distanza tra le due parti, per taluni aspetti, si è anche approfondita.

 

Né i numerosi position papers pubblicati dal Regno Unito durante la pausa estiva hanno contribuito a semplificare la trattativa. Si è assistito, infatti, ad un ulteriore tentativo, da parte britannica, di spostare il negoziato dall’accordo di recesso a quello sulle future relazioni. L’operazione non è stata per nulla apprezzata dalla controparte europea. Al riguardo, Guy Verhofstadt, che presiede lo Steering Group del Parlamento europeo sulla Brexit, ha affermato recisamente che “To be in & out of the Customs Union & ‘invisible borders’ is a fantasy”.

 

Invero, la proposta di un periodo transitorio (biennale?) dopo il marzo 2019, in cui verrebbe sostanzialmente mantenuta l’esistente unione doganale e, tuttavia, sarebbe consentito al Regno Unito di negoziare accordi commerciali con i Paesi terzi, pare inconcepibile alla luce delle attuali regole europee. Applicare, poi, al transito delle merci e delle persone alla frontiera terrestre nord-irlandese un sistema semplificato di tracciabilità e dichiarazioni doganali telematiche, oltre alle questioni politiche che pone nei due territori coinvolti, di sicuro è suscettibile di creare notevoli problemi di sicurezza a tutto tondo, non solo nazionale, in tempi di terrorismo, ma anche legata genericamente ai prodotti, ed a quelli alimentari nello specifico.

 

Infortuni incredibili e bilanci fumosi


A districare la prioritaria e spinosa questione dei diritti dei rispettivi cittadini, in disparte della nota tecnica congiunta pubblicata in esito al secondo incontro, che ha peraltro messo in luce l’esistenza di divergenze considerate “fondamentali” dal negoziatore europeo Michel Barnier, non ha certo contribuito l’incredibile infortunio in cui è caduto l’Home Office con l’invio – assertivamente erroneo(!) – di 100 lettere a cittadini dell’Ue legittimamente residenti nel Regno Unito, a cui è stato dato un mese di tempo per lasciare il Paese, pena l’espulsione previa, addirittura, l’irrogazione di misure restrittive della libertà personale.

 

Quanto alla liquidazione delle pendenze finanziare è poi calata una spessa coltre di nebbia al di là del Canale della Manica. Il Regno Unito, infatti, non ha finora rappresentato alcuna metodologia di calcolo, salvo dichiarare per bocca dell’immaginifico ministro degli Esteri Boris Johnson, in una conversazione alla BBC Radio Four di qualche giorno fa, che “we should pay not a penny more, not a penny less of what we think our legal obligations amount to”.

 

Prospettive e interrogativi del terzo round


Quali le prospettive all’inizio del terzo round negoziale? Allo stato pare assolutamente da escludere la pretesa britannica di conciliare, da un lato, l’uscita dal mercato interno e dall’unione doganale e, dall’altro, la conclusione di un partenariato speciale e approfondito con l’Ue, su cui ha tanto insistito il primo ministro Theresa May nella notificazione di recesso del 29 marzo 2017.

 

Questo approccio, che Johnson aveva tradotto nella strategia di “have your cake and eat it”, è stato ovviamente respinto al mittente, ben prima che il negoziato avesse inizio, sia dal Consiglio europeo sia dal Parlamento europeo. E va notato che questa posizione non ha finora subito flessioni di sorta, anzi è stata di recente ribadita da vari leader europei, tra cui il cancelliere tedesco.

 

È del tutto inverosimile, infatti, che il Regno Unito possa mantenere gli stessi vantaggi garantiti dall’appartenenza all’Ue dopo esserne uscito. Una situazione del genere, tra l’altro, sarebbe suscettibile di innescare un pericoloso effetto domino in quegli Stati membri in cui sono presenti ampi schieramenti di forze euroscettiche.

 

Verso uno slittamento dei tempi


Senza un improbabile salto di qualità delle trattative, allo stato appare molto difficile rispettare la tempistica prevista a giugno, secondo la quale la riunione del Consiglio europeo fissata per il 19-20 ottobre prossimi dovrebbe decidere il passaggio alla seconda fase delle trattative, laddove pare plausibile un rinvio a dicembre. Occorre al riguardo tenere la barra dritta e non consentire che il primo ministro May si cimenti in un negoziato dell’ultima ora, cercando di portare nuovamente il Consiglio europeo a discutere della Brexit in aperta violazione di quanto sancisce l’art. 50, par. 4, del Trattato sull’Ue.

 

A sei mesi dalla notifica di recesso, mentre il ticchettio delle lancette dell’orologio continua inesorabile, parecchi osservatori cominciano a dubitare che venga concluso l’accordo ex art. 50 TUE entro il termine di due anni ivi previsto. Occorre fare di tutto, invece, per predisporlo, mettendo in campo, da entrambe le parti, una sapiente miscela di indubbio pragmatismo e notevole creatività, conditi da una auspicabile spolverata di lungimiranza.

 

[1] Per un quadro più esaustivo dei due primi round di trattative sia consentito rinviare al nostro Le trattative tra il Regno Unito e l’Unione europea per la Brexit alla luce dei primi due cicli negoziali, in federalismi.it 9 agosto 2017, pp. 1-37 .

 

(*) Carlo Curti Gialdino è professore ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’Università di Roma La Sapienza.

 

(da affarinternazionali.it

 

 


Aggiungi commento