di Filippo Santelli (da La Repubblica)
Pechino - “Prima di firmare il memorandum con la Cina l’Italia doveva trovare un grande accordo con Stati Uniti e Unione europea, ma questo governo non conosce l’abc della politica”. Francesco Sisci, professore all’Università del Popolo di Pechino, osserva la Cina dall’interno.
Nelle ultime settimane ha difeso con forza l’accordo tra il Vaticano e Pechino sulla nomina dei vescovi, criticato da molte parti nel mondo cattolico. Sull’intesa lungo la Via della seta che l’Italia firmerà sabato ha però un’opinione del tutto opposta: “Ingenuità, o peggio”.
Il governo sostiene che si tratta solo di affari, niente politica.
“La Via della seta è un cambiamento epocale, che rilancia quattrocento anni di storia di relazioni politiche e commerciali, ma proprio per questo ha bisogno di grande attenzione in come viene portata avanti. In questo caso anche per l’Italia”.
Dopo le critiche di Washington e Bruxelles il governo ha assicurato massima attenzione sui settori strategici come porti e telecomunicazioni. Basterà a tranquillizzare gli alleati?
“Temo di no perché c’è una questione di metodo, che non riguarda tanto il cosa si stia per firmare. Prima di firmare l’Italia doveva trovare un grande accordo con Stati Uniti e Unione europea. Oggi questi due si sentono giustamente traditi perché il governo ha preso accordi alle loro spalle. C’è stato un tradimento, e questo non so come e in che modo sia recuperabile da questo governo e i suoi leader”.
Pur non avendo siglato il Memorandum, Parigi e Berlino hanno relazioni economiche molto più intense con Pechino, sia in termini di investimenti che di scambi commerciali. Questa firma può essere una scorciatoia per recuperare terreno?
“Non credo che questa firma possa essere una scorciatoia. La Cina è una maratona, l’Italia sogna sempre scorciatoie o goal al 90esimo minuto. La Cina non permette né l’uno né l'altro”.
L’accordo aiuterà le aziende italiane a fare affari con la Cina?
“I rapporti economici con la Cina sono solo una parte delle relazioni economiche italiane. Quindi gli accordi con la Cina devono diventare un di più, e non sottrarre ad altro. Cioè se esportiamo più in Cina ma meno in Europa e negli Stati Uniti cosa otteniamo? L’Italia può poi realisticamente garantire duemila e rotti miliardi di debito come stanno facendo Bruxelles e Washington? Per quanto ricca, la Cina ha un’economia più piccola di quella di Stati Uniti e Unione europea, quindi al di là di ogni volontà queste idee sono impossibili. Cosa viene fuori da questi elementi? Che il governo italiano non conosce l’abc della politica. Questa ingenuità, o peggio, è molto pericolosa. Se non si conoscono le basi della grande politica, anche sulla politica di casa come si fa?”.
La Cina sostiene di voler cambiare approccio sulla Via della seta, rendendola più multilaterale e coinvolgendo i Paesi avanzati. La convince?
“Certamente c’è un ripensamento su come è stata gestita la Via della Seta finora. E’ interesse di tutti, Cina compresa, cambiare registro. Nel concreto dovremo vedere, però c’è una speranza”.
Movimento 5Stelle e Lega si sono scontrati su questo accordo. Secondo lei la leadership cinese considera l’esecutivo gialloverde un partner affidabile o ne sta sfruttando le divisioni a suo vantaggio?
“Non credo che la Cina riesca ad avere un’analisi dettagliata delle manovre del governo italiano per potere giocare una parte contro l’altra. Né la diplomazia cinese ha grande esperienza di manipolazione di uno straniero all’estero contro un altro straniero all’estero. Quindi penso che Pechino oggi sia semplicemente perplessa e forse presa in contropiede dalla confusione e dalle polemiche italiane su questo accordo”.
In che cosa l’accordo siglato dal Vaticano è diverso?
“La Santa Sede prima di firmare ha cercato un ampio consenso all’interno dell’Occidente e del mondo cattolico. Questo consenso non è totale ma ampio, e nessuno può dirsi sorpreso perché ciò che è avvenuto è inatteso. L’intervista al Papa per Asia Times dell’inizio del 2016, pubblicata poi anche in Cina, ha fatto emergere i contatti e le trattative che comunque duravano da molti anni. Inoltre dall’intervista alla firma dell’accordo sono passati quasi due anni di intenso dibattito pubblico e privato. Questo processo non solo ha creato un consenso in Occidente sull’accordo ma ha aiutato la Cina ad avvicinarsi all’Occidente in un momento molto delicato. Nulla di tutto questo c’è stato in Italia. Questo l’Italia avrebbe dovuto fare. Ma evidentemente non ce n’era coscienza o capacità”.