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27/12/24 ore

Violante: «Riforma del Csm? Chi la ostacola ha paura di perdere potere…»



di Simona Musco (da Il Dubbio)

 

Intervista all'ex presidente della Camera Luciano Violante: «Il Csm dovrebbe garantire l’indipendenza dei magistrati e il raccordo della magistratura con gli altri poteri dello Stato. Oggi, e mi spiace, non ha garantito però né l’una né l’altra cosa»

 

«L’autogoverno della magistratura è diventato purtroppo autoreferenzialità e separatezza». A dirlo è Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex magistrato, secondo cui per risolvere le storture interne al mondo delle toghe non basta una legge. Di fronte alla questione morale che attanaglia ormai da tempo la magistratura, infatti, l’unica soluzione è che la stessa riacquisti credibilità. E il metodo è già scritto nella Costituzione: «Servono onore e disciplina». Ma di fronte al tentativo di sconvolgere i sistemi di potere «c’è una certa resistenza».

 

Nei giorni scorsi il Presidente Mattarella ha lanciato un nuovo appello per la riforma del Csm. Non le sembra che la politica sia rimasta in silenzio?

 

La politica in questo momento ha molte cose a cui pensare, a partire dalla legge di Bilancio, quindi capisco che il tema sia rimasto meno al centro del dibattito. Però mi stupisce che nella magistratura non ci sia stata una presa d’atto di questa situazione. Il fatto è che qualsiasi intervento di effettiva riforma sconvolge i sistemi di potere interni e credo, dunque, ci sia una forma di resistenza.

 

I magistrati mediaticamente più esposti però parlano spesso di una decadenza dei costumi e invocano il cambiamento.

 

Premetto che la presenza mediatica, di per sé, non è una qualità. Nelle chat dei magistrati ormai da anni si segnalano lo strapotere delle correnti e gli interventi impropri del Csm. Ma è un dibattito rimasto troppo a lungo negli interna corporis; a un certo punto la tensione è diventata tanto ingovernabile da esplodere, a partire dalla vicenda del dr Palamara. Ma quello è solo un aspetto, ce ne sono tanti altri altrettanto discutibili.

 

Per la riforma del Csm si discute prevalentemente di legge elettorale, ma i temi sono tanti. Che cosa deve cambiare?

 

Il punto è che il Csm non deve governare nulla. Deve dare valutazioni relative alla disciplina dei magistrati e all’idoneità a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi. Per questi compiti non ci vuole una maggioranza; altrimenti significherebbe che deve prevalere un indirizzo politico “di governo” e che pertanto coloro che non si riconoscono in quella maggioranza devono contare di meno, avere meno possibilità. Sarebbe contrario alla logica stessa della istituzione giudiziaria. Riflettiamo: il maggioritario, rigido o blando, significa che se una corrente è maggioritaria in Csm deve avere un numero maggiore di suoi aderenti ai vertici degli uffici giudiziari. Le sembra coerente con i valori costituzionali? Quella sulla legge elettorale credo sia una falsa discussione: finora ne sono state fatte sette e nessuna è servita allo scopo. Il punto è che il corpo elettorale è piccolo, fatto di 10mila persone, distribuite in centinaia di uffici, facilmente avvicinabili dai titolari del potere delle correnti, quindi un sistema di controllo forte del voto è sempre possibile. Perciò l’unico sistema elettorale adeguato è quello il più proporzionale possibile. Perché più si frantuma la rappresentanza meno pesano le correnti. La seconda questione riguarda la durata: la Costituzione, all’articolo 104, dice che i membri elettivi del Csm – e non il Csm stesso – durano in carica quattro anni. In questa consiliatura diversi magistrati si sono dimessi prima della scadenza naturale, il che vuol dire che per alcuni di loro i quattro anni non saranno compiuti quando si andrà a votare. E a mio avviso occorrerebbe far votare soltanto per coloro che sono decaduti. Gli altri hanno il diritto costituzionale a svolgere le loro funzioni per quattro anni.

 

Insomma, il modello della Corte costituzionale. E cosa comporterebbe una scelta simile?

 

La sedimentazione delle prassi. E ciò riduce il potere dei “controllori” del voto o delle tendenze interne alla magistratura e si evita che ci sia la costruzioni di prassi ex novo che favoriscono questa o quella posizione. C’è poi un punto di fondo: le sedute in cui si attribuiscono gli incarichi direttivi sono pubbliche e collegate a Radio Radicale. Si immagina una cosa simile per la nomina di un ambasciatore o di un prefetto?

 

Non è un modo per garantire la trasparenza sulle nomine?

 

Avrà letto il libro di Palamara: con tutta la trasparenza possibile ha visto cos’è successo. Le decisioni avvengono fuori, non dentro, e quella seduta pubblica serve affinché le correnti dichiarino a ciascun elettore come si sono comportate, esattamente come si fa nelle discussioni in Parlamento, quando si parla agli elettori. Queste decisioni devono avere carattere di riservatezza, altrimenti si snaturano. In alcune procedure la riservatezza è un valore.

 

Questo perché la fase in Commissione non è pubblica e come ha spiegato Palamara spesso segue altre logiche.

 

Le cattive logiche sono figlie dei cattivi costumi; non si rimediano con le leggi, si rimediano con costumi diversi. Se lei mi chiede se c’è una legge che risolve questo problema le dico di no. Se mi chiede se c’è un sistema per far in modo che le cose siano meno ipocrite e meno corrose da logiche di potere allora dico di sì. E un altro dei campi su cui bisogna intervenire è il personale del Csm: l’ufficio studi non deve essere costituito da altri magistrati chiamati dai magistrati del Consiglio, perpetuando la filiera correntizia. Bisogna invece fare in modo che sia una corpo di funzionari. Serve un apposito concorso pubblico, per laureati che devono conoscere le procedure, l’ordinamento giudiziario eccetera.

 

E per esempio potrebbero esserci anche degli avvocati.

 

Certamente. Sono queste cose che tolgono il potere improprio delle correnti e le ricostituiscono come organismi di cultura, di intelletto, di approfondimento scientifico e professionale.

 

Qualcuno ne chiede l’eliminazione… È possibile?

 

Le correnti ci sono, le opinioni ci sono ed è bene che ci siano. Quello che è sbagliato è il loro peso improprio. Siamo tutti un po’ scontenti nei confronti dei partiti, ma lei pensa che la democrazia si risolva cancellandoli? No e lo stesso vale per le correnti. Erano componenti ideali, all’inizio, poi sono diventate componenti di potere. Bisogna creare le condizioni per superare la fase cesaristica delle correnti.

 

Il problema è però che la magistratura si è trasformata in un corpo che gestisce potere e ambisce al potere. Come si è arrivati a questo?

 

Ci sono state tre fasi: la prima, nella quale si è cercato di avere un Csm più rappresentativo di tutte le categorie di magistrati; poi c’è stata la battaglia per l’autogoverno e per avere poteri tali da poter governare la magistratura dall’interno, togliendo poteri al ministero della Giustizia e alla Cassazione; fin qui bene, ma poi l’autogoverno è diventato autoreferenzialità e separatezza perché la politica ha ceduto ai magistrati, specie a quelli penali, troppo potere. Il Consiglio superiore dovrebbe garantire due valori: l’indipendenza dei magistrati, e il raccordo della magistratura con gli altri poteri dello Stato. Oggi, e mi spiace, non ha garantito però né l’una né l’altra cosa.

 

E come si risolve questo cortocircuito?

 

Io sono per la costituzione di un’Alta Corte, che riguarderebbe tutte le magistrature. Credo che i poteri disciplinari e amministrativi debbano rimanere ai soggetti che attualmente li esercitano, ma le impugnazioni vanno attribuite ad un’Alta Corte, costituita dai magistrati contabili, ordinari e amministrativi, eletti dai rispettivi vertici, e da una quota nominata dal Presidente della Repubblica ed eletta dal Parlamento tra coloro che hanno titolo per accedere alla Consulta. Questa Corte giudicherebbe in primo grado in sezione e in secondo in plenum, come fa la Cedu. Il secondo aspetto costituzionale è la nomina del vicepresidente del Csm, per la quale attualmente avviene una trattativa tra i candidati e le varie correnti, con l’impegno a fare o non fare alcune cose nei confronti delle stesse. È inevitabile, perché è una campagna elettorale. A mio avviso, invece, deve essere nominato dal Presidente della Repubblica e deve essere esterno agli eletti. In questo modo si taglia alla radice la contrattazione, a partire dalla quale l’appartenenza conta più della qualità delle persone.

 

Il deputato Costa ha evidenziato la massiccia presenza di magistrati negli uffici del ministero della Giustizia, sostenendo che anche questo è un modo per esercitare potere. È d’accordo?

 

Certamente c’è un eccesso di presenza, ma i ministri non sono obbligati a nominare magistrati, possono benissimo scegliere all’esterno.

 

Non è spia di un rapporto strano tra i due poteri?

 

Questi problemi si risolvono facendo leggi chiare, per evitare che ci sia un eccesso di potere discrezionale da parte della magistratura, e con iniziative serie che riguardino l’osservanza, da parte dei magistrati, dei parametri fissati dall’articolo 54 della Costituzione, secondo il quale i cittadini che esercitano funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore. Bisogna formare un magistrato che deve avere una credibilità molto alta, perché i poteri discrezionali che esercita necessitano di un rapporto di fiducia con i cittadini.

 

E come si costruisce questo rapporto?

 

Valutando bene i comportamenti. Prevedere dopo quattro anni dall’ingresso in magistratura un secondo esame condotto da una commissione costituita come per l’esame di ammissione per valutare la preparazione professionale nel settore nel quale si sono svolte le funzioni, il rapporto con avvocatura, i colleghi e i mezzi di comunicazione. Il giudizio e il voto di questa Commissione dovrebbe acquisire un peso determinante per il giudizio di idoneità ad assumere incarichi direttivi e semidirettivi.

 

C’è una questione morale della magistratura e non si risolve con le norme. Come, allora?

 

Bisogna insistere sui costumi. Sento dire che il magistrato è un cittadino come gli altri, ma non è vero, perché un cittadino comune non dispone discrezionalmente della reputazione, della libertà e dei beni degli altri cittadini. Il magistrato sì e siccome può farlo sulla base di presupposti molto discrezionali, l’unica forma di legittimazione è la sua credibilità. Quindi i comportamenti che assume devono essere tali da meritare la fiducia delle persone. Diceva Machiavelli: non bastano le leggi, ci vogliono anche i buoni costumi e qui c’è un problema di buoni costumi.

 

E come si può risolvere il problema dei buoni costumi?

 

I vertici della magistratura, il Csm, il ministro, devono richiedere comportamenti adeguati alle responsabilità che si esercitano. La stragrande maggioranza dei magistrati non va a finire sui giornali, bisogna stare molto attenti al comportamento di quelli che tralignano. Se si lascia pensare che quello che conta è l’esposizione mediatica e le indagini che fanno scalpore, c’è una distorsione profonda del ruolo di magistrato. Bisogna esigere onore e disciplina.

 

(da Il Dubbio)

 

 


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