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12/10/24 ore

La nuova notte della Repubblica



di Massimo Adinolfi (da Il Mattino)

 

La giornata di ieri ha segnato un nuovo, non invidiabile primato di pista sul circuito mediatico-giudiziario nel quale si avvita la politica e il dibattito pubblico in questo Paese. Il «Fatto quotidiano» pubblica un’intercettazione fra Matteo Renzi e il padre Tiziano, che finisce sui giornali in barba a ogni principio di riservatezza delle indagini e di rispetto della privacy.

 

Finisce sui giornali un’intercettazione priva di qualunque rilevanza penale, che non era nella disposizione degli avvocati e che non era neppure contenuta nelle informative dei carabinieri, proprio per via della sua irrilevanza. Ma la pubblicazione consente di alzare nuovamente al massimo il volume sull’inchiesta: nonostante Renzi dimostri nel corso della telefonata una correttezza assoluta e una severità persino eccessiva nei confronti del padre; nonostante il padre confermi di non aver incontrato l’imprenditore Alfredo Romeo, per quanto egli ricordi; nonostante insomma non vi sia un solo particolare dell’inchiesta che prenda un significato diverso alla luce delle parole intercettate, sta il fatto che, grazie alla pubblicazione, nei titoli, nelle dichiarazioni, nei programmi televisivi ricompare «il caso».

 

E monta la speculazione politica: basti leggere, fra tutte, la dichiarazione dei capigruppo del Movimento Cinquestelle, Roberto Fico e Carlo Martelli, che prendono la notizia a pretesto per parlare di «aspetti opachi rispetto agli incontri di Tiziano Renzi», quando non c’è alcuna opacità nella telefonata, e per denunciare un «gruppo di potere», quando si tratta di un figlio che, sulla base di rivelazioni di stampa, chiede conto al padre di quel che si legge sui giornali (e che proprio quella sera mostrerà in tv, quindi in pubblico, la stessa severità tenuta in privato, uscendosene con la frase: «se è colpevole, deve essere condannato con una pena doppia»).

 

Ma ancor più impressionante è la nuda sequenza dei fatti: il 2 marzo scorso «Repubblica» pubblica un’intervista al commercialista napoletano Alfredo Mazzei, il quale asserisce di aver saputo da Romeo di un suo incontro riservato con Tiziano Renzi in una «sorta di bettola». Renzi chiama allora il padre, e gli chiede a muso duro se risponda a verità quanto riportato dal quotidiano. Il padre non ricorda di aver mai incontrato Romeo; di sicuro – dice – non l’ha incontrato a pranzo. Il giorno dopo, il 3 marzo, viene interrogato presso la Procura di Roma, investita per competenza delle indagini avviate a Napoli, dai pm Paolo Ielo e John Henry Woodcock.

 

Al termine, la difesa di Renzi rinuncia a richiedere gli atti per preservarne la riservatezza, ma il giorno dopo oplà: sui giornali si rovescia tutta la montagna di accuse contenute nelle informative prodotte dal Noe, il nucleo investigativo al quale si era affidata la procura napoletana e in particolare il suo pm di punta, John Henry Woodcock. La reazione della procura di Roma, è decisa: fin lì i capi degli uffici di Napoli e Roma avevano proceduto d’intesa, ma di lì in avanti l’intesa naufraga. Pignatone revoca l’indagine al Noe; dopodiché parte l’inchiesta sulla fuga di notizie e parte pure una scrupolosa verifica del lavoro svolto.

 

Salta fuori, e siamo alle ultime settimane, che il capitano dei carabinieri Gianpaolo Scafarto, su cui Woodcock riponeva la massima fiducia, ha clamorosamente manipolato i verbali delle intercettazioni e ha pure costruito una storia di pedinamenti da parte dei servizi segreti, che finisce agli atti nonostante ne sia evidente l’infondatezza. Woodcock, dal canto suo, per difendere l’operato di Scafarto viola l’assoluto riserbo sugli sviluppi del caso chiestogli espressamente dal procuratore Fragliasso. Per aver violato il silenzio e per aver così interferito con il lavoro della Procura romana viene così incolpato dal procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo. Ed ecco ora il nuovo coup de théâtre: la drammatica telefonata tra padre e figlio, che costringe la procura di Roma ad aprire una nuova indagine per violazione del segreto istruttorio e il ministro della Giustizia Orlando a disporre accertamenti. Si vedrà nelle prossime ore se anche il Csm, finora taciturno, riuscirà finalmente a prendere posizione sulla vicenda.

 

Non è detto però che sia l’ultimo episodio: a leggere «il Fatto» sembra anzi che nuove rivelazioni siano tenute in serbo per i prossimi giorni, e così la politica si ritrova sotto una specie di stordimento permanente, travolta da fiumi di parole che non hanno alcun valore probatorio, la cui pubblicazione avviene goccia a goccia, in esplicita violazione di legge, con una Procura che tiene evidentemente aperte le falle da cui fioccano le intercettazioni, e l’altra che prova (finora invano) a turarle.

 

In gioco, come si vede, non sono i «guai giudiziari» del padre di Renzi, la cui posizione non è minimamente toccata – non aggravata, se mai alleggerita – dalla divulgazione dell’intercettazione. In gioco è tutto il resto: il clamore mediatico sollevato da certe inchieste in via del tutto indipendente dalle risultanze investigative prima e processuali poi; la complicità che si stabilisce fra organi di stampa e organi inquirenti; la disinvoltura con cui certi meccanismi vengono attivati, con qualcuno che dietro le quinte alza la palla e qualcun altro che scende in campo e la schiaccia.

 

E infine l’impotenza della politica, costretta ad assistere allo spettacolo, tacendo per timore di finire magari nel tritacarne della prossima intercettazione, segretamente confidando che la procura di Roma possa almeno questa volta respingere la palla nel campo avverso, dopo un quarto di secolo, anno più anno meno, in cui la politica stessa è stata presa a pallonate.

 

La politica appare cioè ancora priva di qualunque, reale capacità di reazione visto che, giunta dinanzi a uno dei punti più oscuri della storia repubblicana recente, dinanzi a condotte investigative capaci di produrre – non sappiamo a quali livelli – un così grave inquinamento probatorio e di far emergere elementi di così eclatante privatezza, non batte i pugni sul tavolo ma si limita a rilasciare dichiarazioni: il miglior commento all’inazione di questi anni.

 

(Il Mattino Mercoledì 17 Maggio 2017)

 

 


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