Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/12/24 ore

Padri separati, l’accoglienza dell’Ordine di Malta



Dio si serve delle nostre mani per fare il bene. E la Sua misericordia è più grande di ogni dolore e Calvario. Lo ripete come un mantra, fra Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, alla guida del Gran Priorato di Roma dell’Ordine di Malta. Un uomo di profonda spiritualità e di rara umanità.

 

Chiunque abbia passeggiato anche solo per qualche minuto con lui, nel vento dell’antica fortezza templare sull’Aventino, porta nel cuore una sua parola o incoraggiamento, la promessa di una preghiera alla Vergine Hodigitria, la Madonna di Costantinopoli che protegge i naviganti e chi cerca la verità. Chi si è tolto le bende del bisogno confidando a lui problemi e necessità, ha trovato in fra Giacomo l’abbraccio di un padre e una mano sempre pronta ad aiutare.

 

Centinaia di persone, in questi anni, nella grande ‘Parrocchia’ del Gran Priorato che comprende Lazio, Umbria, Toscana e Marche, lo hanno scoperto come compagno di viaggio, e con un sorriso il Gran Priore è riuscito a mettere in sinergia uomini e donne che si sono unite alla causa dell’assistenza ai poveri portata avanti dall’Ordine. Una rivoluzione diffusa che ha visto crescere l’impegno sul territorio a favore di anziani e persone sole.

 

E’ bastato aprire le porte del Gran Priorato: tantissimi volontari si sono rimboccati le maniche portando nel cuore la Croce a 8 punte, simbolo delle Beatitudine evangeliche, per cercare l’uomo e Dio nelle stazioni e agli angoli delle strade, per riconoscere il volto del Nazareno tra i barboni che di notte dormono sui cartoni, per strada, con la loro domande inevase.

 

E’ l’Emmaus del nostro tempo, quella più dura. Qualche studioso sostiene che tutto il colle Aventino sarebbe in realtà un'unica, immensa nave, sacra ai Cavalieri Templari, pronta prima o poi a salpare per la Terra Santa. Di certo è il luogo dal quale, sottraendosi alla luce dei riflettori e senza nulla chiedere in cambio, centinaia di volontari, medici e operatori, ogni giorno rinnovano la missione di alleviare le sofferenze del prossimo.

 

Un modello di intervento solidale, ma anche un percorso che unisce credenti e non credenti, laicato responsabile e uomini di fede che vogliono dare ragione della propria speranza. Un laboratorio di solidarietà che viene da lontano: dovunque si siano insediati, nella loro storia millenaria, i Cavalieri hanno sempre prima stabilito l’Ospedale e l’Ospizio.

 

Prioritario è infatti il Kerigma, e vivere la fraternità nelle opere di Misericordia; la struttura viene dopo e serve a tracciare progetti che riescano a centrare il bersaglio di un’assistenza di qualità. “Il volontariato – spiega fra Giacomo Dalla Torre– non è fare le cose nel tempo libero ma donare del tempo vero a chi ha bisogno. E vivere insieme il Vangelo che è amore per gli ultimi e i poveri. Sapere che c’è sempre la Divina Provvidenza che ci rialza e ci fa credere che verrà di nuovo l’alba, che c’è sempre una speranza, per tutti. A chi bussa alla nostre porte non chiediamo da dove venga e quale fede abbia. Per noi sono tutti fratelli e sorelle, perché tutti figli di Dio”.

 

La lezione del Gran Priore, profondo studioso di Archeologia Cristiana, è semplice: koinonia e agorà. Comunione e partecipazione, condivisione di progetti e obiettivi. E abitare la strada, perché la Carità raggiunga le persone lì dove i bisognosi vivono e soffrono.

 

Da 960 anni, l’Ordine di Malta non è un luogo fisico ma una missione di speranza, amore per i poveri e i ‘signori malati’. I loro fondatori, come i Templari, conoscevano la forza di una parola, Huzai, che significa coraggio, abbi sempre forza. Una storia di solidarietà che continua ora con altri progetti per portare il conforto della carità cristiana agli afflitti, ovunque necessario. Non solo con strutture ospedaliere, ma anche con servizio personale nelle case o negli ospizi.

 

L’impegno non riguarda solo i malati ma anche gli emarginati, i perseguitati, i rifugiati, senza distinzione di razza o di religione. E le famiglie colpite dalla crisi, con un’attenzione particolare ai ‘nuovi poveri’, le persone che siedono alle mense della speranza in giacca e cravatta, che insieme alla minestra calda ricevono un sorriso dopo aver perso la casa o il lavoro.

 

Una vita plurale e comunitaria, quella del Gran Priorato di Roma, per stare accanto alle persone che vivono l’abbandono, l’Ora nona della Croce, piena di tanti lamah?, i perché che inchiodano la carne alle attese. In cantiere ora c’è il progetto di aprire una grande Casa di accoglienza nella Capitale per padri separati, un popolo invisibile che dorme nelle auto, e ha bisogno di riannodare i fili della vita. Come gli antichi Ospitalieri, i volontari di oggi costruiscono con quello che trovano, e sanno che niente resta uguale dopo le maree. Ma il Gran Priorato è anche voce di una nuova ‘paideia’, che indica responsabilità contro egoismo.

 

Il ‘segreto’ del Gran Priore sta in una sola parola, che pronuncia piano, come se venisse da un antico silenzio. Questa parola è: insieme. Il Dio della Speranza chiama i volontari dell’Ordine ad essere testimoni di amore, ma allo stesso tempo, pregando e lavorando fianco a fianco a progetti di solidarietà concreta. L’indicazione è rendere tutti contermini a un progetto di costruzione solidale, facendo esperienza di ciò che indicava il mistico spagnolo Fray Luis de Léon: “In Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga”.

 

I numeri di questo impegno per i bisognosi parlano chiaro: nell’anno appena trascorso, sono stati serviti più di 40.000 pasti caldi. Migliaia le ore di assistenza ad anziani e malati. Nella Lettera a Diogneto si dice che “i cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere…”.

 

I cristiani si riconoscono dalle opere, e da ciò che hanno nel cuore quando aiutano il prossimo. Quello di Cavalieri e Dame del Gran Priorato non è perciò la sapienza, solo umana, di chi conosce vecchie maghe di Tessaglia ma il volto, cristiano e perciò fraterno, di ha incontrato il Dio incarnato, e lavora per restituire dignità a ogni persona sapendo che non basta prendere a spallate il silenzio: occorre agire. “Per mezzo di uomini e alla maniera umana Dio parla a noi, perché parlando così ci cerca”, scriveva Sant’Agostino.

 

Il profeta di umanità conserva la propria libertà quando si pone a disposizione di Dio, insegnava il grande biblista Luis Alonso Schökel. Che nel suo libro,’ I Profeti’, rimarcava la forza dell’esempio e la motivazione interiore dell’uomo scelto dal Dio degli eserciti per portare il suo messaggio si amore sui sentieri del tempo. Una forza necessaria, perché “nulla è più debole della parola. Presenta tre lati di debolezza. E’ vento che vibra, limitato dalla distanza, confinato nelle frontiere delle lingue, di durata istantanea e sottomesso a perturbazioni senza numero. E’ debole l’uomo che la pronuncia, quando non dispone di ricchezze che la raccomandino o di eserciti che la spalleggino o di tribunali che la sanzionino. Debole soprattutto perché si rivolge ai cuori umani, torpidi o fiacchi, ostinati o codardi. E’ debole – scriveva ancora Schökel - perché chi deve pronunciarla po’ fuggire, come Giona, o tacere, come Geremia; perché chi deve udirla può chiudere le orecchie o indurire il cuore; perché con l’essere pronunciata cessa di esistere”.

 

Ma Dio mette in marcia la libertà umana, volere il bene del prossimo è la ‘cerca’ della Bellezza, il senso di quella vera solidarietàche fa venire i crampi allo spirito della divisione. Non basta credere, bisogna sperare. E usare parola e mani per costruire e accorciare distanze. Perché le periferie dell’esistenza, tanto care a Papa Francesco, non sono il segno di una storia chiusa, ma nuovi avamposti da esplorare.“Si secca l’erba, marcisce il fiore, ma la Parola di Dio si compie sempre”, assicura Isaia (Is 40,8).

 

L’Ordine racconta allora un arcipelago di testimonianze di quel ‘plurale’ che serve oggi alla nostra società per vivere il Dio incarnato. Il 12 febbraio, dieci Capitolari si ritroveranno nel Capitolo dell’Ordine, per eleggere o confermare la loro guida, per i prossimi sei anni. Il Gran Priore deve essere segno di comunione, e somer, sentinella che esorta a “essere unanimi nel parlare” (1 Cor 10), annunciando l’agape e portando il giorno della fede perché “Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,21).

 

La preghiera tesse i fili della fraternità, icona di una Gratuità che si fa vicinanza ad ogni abitante del tempo, nelle avventure della differenza.Una indicazione di umanità anche per tanti che ogni giorno si sforzano di credere, portando le proprie Croci sulle spalle. Torna alla mente un brano di Bernardo di Chartres: “Se ho visto più lontano, ho potuto farlo stando in piedi, sulle spalle di giganti”.Oggi più che mai c’è bisogno di esempi. La vera philìaè amore della storia propria e di quella altrui. Cavalieri, Dame, Donati e Volontari sono operai della Speranzanel grande cantiere aperto nella storia da una Trinità che continua a donare Misericordia alle nostre lotte incompiute.

 

Lucia Siniscalchi

 

 


Aggiungi commento