
Ultimamente, anche se non capisco perché solo ultimamente, si sente parlare della giusta rivendicazione del salario minimo che le opposizioni a gran voce chiedono nei confronti di un governo sfruttatore e lontano dalle classi più disagiate, che sono sempre più in crescita. È bello saperlo, è bello che tutti abbiano un minimo da poter vivere in maniera dignitosa, è bello che si pensi che possa esistere una società del genere, dove il benessere inizia dal basso e non dall'alto, dalla ricchezza del grande capitale.
Scoperta l'acqua calda, passiamo alle docce fredde dovute al fatto che un'omertà nascosta quanto estesa fa di tantissima gente degli sfruttati nel vero senso della parola. Visto che mi occupo di questo da sempre, parlerò della cultura, il più macroscopico fenomeno di sfruttamento mai inventato nella società consumistica, cioè quella che viviamo quotidianamente.
Veniamo agli esempi: tempo fa, in uno scritto dedicato alla "condizione dell'artista", ho realizzato una rappresentazione grafica di una piramide capovolta, con il vertice in basso, dove nella parte larga in cima si trovavano coloro che non avevano nulla a che fare con l'arte e guadagnavano , mentre chi stava al vertice in basso, l'artista, non guadagnava nulla.
Ovviamente non parlo dei ben avviati artisti famosi, con valutazioni stellari, le cosiddette artistar per l'appunto; parlo del popolo degli artisti o della cultura, kurtura se presi in giro, il ceto popolare che fa massa e spinge. Insomma, si parla della proprietà intellettuale, il peggior incubo per i Carlo Marx o Antonio Gramsci attuali, ammesso che ce ne fossero.
Nell'esempio che sto spiegando, per facilitare la comprensione, è omesso il ricco mercato dell'arte propriamente detto, quel sistema complesso e gigantesco che schiaccia se stesso; figuriamoci i poveri artisti che, in un'ipotetica graduatoria, stanno tra gli ultimi. Per farla breve, quando c'è una mostra, guadagna il custode delle sale, il portiere dell'edificio espositivo nonché l'apparato burocratico, la casa editrice che fa il catalogo, forse chi lo scrive, meno ancora il curatore e, per ultimo, l'artista che, se riesce a vendere qualche quadro, ci guadagna pure lui; altrimenti ci rimette tutto: il lavoro per fare il quadro, la tela, i colori, l'affitto dello studio, il resto delle spese logistiche e il mantenimento della persona stessa fino al giorno della fatidica vendita, se ci sarà.
Dico per semplicità il quadro dell'artista, ma spero che abbiate già capito che il concetto si estende al romanzo, al testo critico, alla sceneggiatura, alla poesia, alla fotografia e anche ai ruoli di chi fa l'attore, il performer, ecc. ecc. Un discorso che tracima in tutto il mondo dello spettacolo. Un mondo assurdo che si regge sulla realizzazione di un'opera, il vertice in basso della fatidica piramide, dove poggia tutto.
Un rispetto per una categoria, quella di chi ha la proprietà intellettuale, che non gode di un'adeguata considerazione. Parbleu, diamo la paga minima a chi lavora nella cultura, facciamo degli artisti, così come degli attori di piccoli teatri, una categoria remunerata senza chiedere l'adeguamento alle mansioni di concetto, per carità, senza approfittare. Sapete che verrebbe fuori? Il nulla; si azzererebbero le mostre, scomparirebbero le gallerie e i teatri, anche i circoli con la tessera associativa, il cinema indipendente, i reading di poesia e la letteratura in genere, così come parte della movida mancherebbe, e i locali, le feste di piazza... la città meno inquinata ne guadagnerebbe.
A fronte dei ministeri dei Beni Culturali e della Pubblica Istruzione, strutture elefantiache che gravano tantissimo sul bilancio pubblico, avremo il niente, il vuoto cosmico. Per lo Stato, l'artista o chi produce cultura non mangia, non beve, non ha spese da sostenere, ma può contribuire a rimpinguare le casse dello Stato se ha venduto un'opera d'arte o ha avuto pubblico pagante in qualche serata.
Si potrebbe indagare nello sterminato campo del precariato della cultura e dello spettacolo, e di esempi ne salterebbero fuori a centinaia, fino alla nausea.
(disegno da Netcoa)