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01/05/24 ore

“La danza della realtà”, Jodorowsky ci regala un sogno del suo mondo


  • Florence Ursino

"Jodorowsky!" lo chiamò Fellini sotto le nuvole di un campo notturno. "Papà" rispose Alejandro al suo regista preferito mentre una pioggia torrenziale si riversò sul set costringendo i due ad allontanarsi verso diverse direzioni. Racconta questo, dal palco del cinema Adriano, l’ottantacinquenne Jodorowsky, a Roma per presentare il suo ultimo film, "La danza della realtà", tratto dal libro omonimo del 2006.

 

Ma la sua pellicola, venuta alla luce 23 anni dopo il suo ultimo lavoro cinematografico, non è Amarcord, come qualcuno ha provato a dire – è normale, il cervello umano ha bisogno di stabilire analogie per ricondurre la novità a qualcosa che già conosce, dice lui – perché il regista toscano guardava al passato con uno sguardo caldo, malinonico, purificante.

 

Il cineasta, fumettista, scrittore cileno, invece, gioca col suo passato impastando memorie, plasmando desideri, afferrando il ciò che è stato e trasformandolo in ciò che è. Perché è solo esplorando e comprendendo l’origine che possiamo esplorare e comprendere il presente e quel che ad esso segue.

 

Quindi seguiamo il piccolo Alejandrito nel piccolo villaggio cileno dove i genitori, ebrei ucraini, si stabilirono nei primi decenni del Novecento. Lo vediamo respirare salsedine coccolato da una madre che, racconta il regista, nella realtà avrebbe voluto essere una cantante lirica: ed eccolo, il suo riscatto, la pellicola esaudisce oggi ciò che la realtà ha negato ieri e la madre di Alejandrito nel film reciterà ogni frase come se fosse la protagonista di un’opera. Cantando.

 

Il padre, che trascorse un’intera vita col desiderio di uccidere Carlos Ibanez del Campo, sul grande schermo finalmente intraprenderà la sua missione, destinata a fargli subire quella profonda trasformazione che nella vita reale non subì mai.

 

Jodorowsky ci regala un sogno del suo mondo, un mondo fatto di facce più scure della sua, di emarginazione, di violenza, di incontri surreali. I colori abbagliano i ricordi, non c’è ombra che offuschi la visione, solo lo sguardo nitido di un bambino che afferra il mondo tra le sue ciglia e lo tiene incastrato lì, ad aspettare di crescere per cambiarlo, un battito rapido lungo una vita, e la storia cambia. Magia, la chiamano alcuni. Poesia, altri. Ma forse è la stessa cosa.

 

Inondando con voce vibrante gli spettatori della sala romana, Jodorowsky cita Marinetti e un assunto del futurismo: "La poesia è un atto", perché la parola, dice, sradicata dal suo terreno d’origine, può liberare la pulsione ad agire. "La danza della realtà" – e l’intera opera di questo strabiliante uomo – non sono altro che questo: atti di psicomagia, testimonianze di chi dell’arte ha fatto la sua vera catarsi.

 

 


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